La burocrazia non è mai stata così viva: politiche su corpi e molecole
La biopolitica degli ormoni ha una storia molto più lunga di quanto si pensi. Già alla fine del 1800, infatti, si distribuivano sieri composti da ormoni animali con l’idea di curare maschi troppo “femministi” (1) o femmine troppo maschili. Nei laboratori dell’epoca, gli ormoni sono già definiti attraverso la lente del genere: gli estrogeni sono femminilizzanti mentre il testosterone è mascolinizzante.
Da queste prime sperimentazioni, nasce e si sviluppa un’industria di estratti di organi animali per curare tutto ciò che viene definito come malattia comportamentale: mascolinità, femminilità, omosessualità e depressione. Lo sviluppo e il rafforzamento di queste finzioni somatiche va di pari passo con i profitti che derivano dalla mercificazione di alcune molecole: la definizione stessa della depressione non esisterebbe senza la sintesi di serotonina; e la patologia del “femminismo” senza la sintesi di testosterone. “Patologie” che si diffondo per essere curate e compagnie farmaceutiche e petrolchimiche – come Ciba, Organon e Shering – che ne intuiscono i profitti potenziali.
Le prime sperimentazioni legate a queste nuove “malattie” sono fatte su animali, donne, categorie della popolazione più povere e territori indigeni. Per esempio, tra il 1940 e il 1970, alle donne incinta viene somministrato un farmaco di produzione petrolchimica di nome Diethylstilbestrol (DES) per prevenire gli aborti spontanei, prima di scoprire che è cancerogeno e che provoca modificazioni genetiche nel corso di tre generazioni. Anche la pillola anticoncezionale regolarmente somministrata dagli anni ‘60 in avanti, si scopre avere un’incidenza patologica non trascurabile (obesità, depressione, cancro) nonostante risulti, se somministrata in paesi con minor accesso alle cure riproduttive, una soluzione meno pericolosa delle morti per parto.
Ma gli ormoni non riguardano solo la sfera riproduttiva, ci circondano e ne siamo, volenti o nolenti, affett*. L’industria petrolchimica, infatti, con la produzione e diffusione di pesticidi per l’agricoltura, è sicuramente la più grande produttrice di molecole sintetizzate. L’Atrazine (capace di modificare il sesso delle rane e dei pesci) (2) è riscontrato nel 94% dell’acqua potabile americana (3); il PBC (prodotto brevettato dalla Monsanto (4), che nasce come industria petrolchimica prima che agroalimentare) è ritenuto essere il composto chimico più pervasivo al mondo, perché rilevabile in tutti i corpi viventi del pianeta; il BPA (5), una molecola fondamentale nella sintesi di alcune materie plastiche e testata, ancor prima di DES, sulle donne per i suoi effetti estrogeni, nonostante le numerose ricerche che confermano la sua tossicità, resta in circolazione attraverso il BPS (6), una sua nuova sintesi che non ha (ancora) l’obbligo di essere tracciata.
In questo panorama di “colonizzazione molecolare” (7) non resta che chiedersi cosa sia “normale” e cosa “naturale”, e quale sia la consapevolezza dei nostri corpi e del loro rapporto con l’ambiente circostante. Infatti, siamo tutt* contaminat* da molecole endocrine che affettano la sfera della riproduzione, i suoi organi e, in generale, tutto il nostro equilibrio ormonale: siamo campi di battaglia per programmi di ingegneria “evolutiva” e di controllo.
Il testosterone è sparito (per i peccati degli altri)
Questo capitolo nasce grazie al contributo di Yuri S. D’Ostuni e Samuel Spano che, a partire dalla loro esperienza personale, mi hanno aiutata a capire perché in Italia il testosterone non è mai del tutto garantito.
Come si concilia il fatto che viviamo territori contaminati da molecole sintetizzate ma, laddove vogliamo ricorrere all’assunzione di ormoni per iniziare o continuare un percorso di transizione (8), incontriamo difficoltà che mettono a rischio le nostre vite?
In questi ultimi mesi, dai banconi delle farmacie sono spariti tutti i medicinali che contengono il testosterone. L’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) indica, in un aggiornamento (9) del 3 maggio 2019, che medicinali come Nebid (BAYER), Testoviron (BAYER) e Sustanol (ASPEN), sono “carenti”. Come si legge sul sito di AIFA (10), la temporanea irreperibilità sul mercato nazionale di medicinali indispensabili per la cura di determinate patologie, viene monitorata sulla base di una procedura ad hoc. Per “carente” si intende un medicinale non reperibile sull’intero territorio nazionale, perché il titolare A.I.C. non può assicurare una fornitura appropriata e continuativa.
La carenza vera e propria di un medicinale, però, deve essere distinta dalla sua “momentanea indisponibilità”, causata invece da distorsioni delle dinamiche distributive. La normativa europea non contiene una definizione armonizzata dei termini “carenza” e “indisponibilità”, e i due fenomeni si riferiscono di fatto a situazioni di differente natura. Le carenze sono legate a problemi produttivi e sono spesso correlate alla non-redditività di farmaci “datati” o di basso costo; mentre le indisponibilità sono riconducibili al fenomeno del “parallel trade”, una pratica che sfrutta le differenze di prezzo dei farmaci sui diversi mercati. Se una casa farmaceutica guadagna di più a vendere un farmaco in un paese invece che in un altro, tende a vendere il quantitativo richiesto da entrambi i paesi a quello più redditizio, costringendo l’ultimo a comprarlo – in emergenza e a un costo maggiorato perché esente dal singolo accordo nazionale sul prezzo di distribuzione – attraverso le strutture sanitarie a cui viene concessa “l’autorizzazione all’importazione per analogo utilizzato all’estero” (11). Il parallel trade è, quindi, il fenomeno attraverso cui i/le contribuenti di paesi meno abbienti finanziano le casse dei grandi monopoli. Nonostante alcuni paesi abbiano mosso diverse volte causa alla Bayer che, nello specifico, è accusata di questa tipologia di frode (12), l’azienda è sempre stata assolta per insufficienza di prove materiali.
Frodi a parte, l’indisponibilità di medicinali incentiva i canali di produzione e vendita di testosterone di dubbia provenienza (13); inoltre, la possibilità per le persone transgender di accedere a un percorso di assunzione di ormoni è ulteriormente limitata. Questa tipologia di farmaci, infatti, è prescritta come terapia per cisgender (un individuo che si riconosce nel genere assegnatogli alla nascita) ipogonadici (14); di conseguenza, la cosiddetta “disforia di genere” (un individuo che non si riconosce nel genere assegnatogli alla nascita) non rientra tra le indicazioni autorizzate di tali specialità medicinali (15).
Se da una parte, la depatologizzazione della disforia di genere (16) è una recente vittoria civile e culturale, dall’altra, resta un vuoto di definizione che andrebbe colmato per garantire a tutt* l’accesso alle cure. Questo vuoto, infatti, fa risultare le persone che assumono ormoni per transizionare “off label”, ovvero inesistenti. Per questa ragione, gli ormoni non sono rimborsabili dal Servizio Sanitario Nazionale e non riescono a essere catalogati come medicinali di classe A, ovvero come farmaci salvavita. Si presume, infatti, che un maschio ipogonadico non rischi la vita in assenza momentanea di testosterone, ma l’attuale classificazione (classe C) non tutela le persone in transizione dalle gravi conseguenze che l’assunzione di testosterone saltuaria può generare: alto rischio di trombosi, osteoporosi croniche, per non parlare di depressione e del tasso di suicidi.
Il fattore che rende questo passaggio ulteriormente complicato è legato ai dati. Sotto il profilo regolatorio, AIFA può valutare l’inserimento di una nuova indicazione terapeutica per un medicinale in commercio solo se l’Azienda farmaceutica titolare dell’AIC presenta una richiesta di estensione di indicazione terapeutica supportata da evidenze scientifiche correlate (17). Il problema è che non ci sono dati, ovvero non sono stati raccolti sistematicamente, perché la transizione non è mai stato un percorso con un iter ospedaliero specifico. Non esiste una piattaforma di condivisione di informazioni su questa “patologia” e ciò ha una ricaduta sulla ricerca e sull’accesso alle cure, come anche sui rischi che una persona trans può incontrare in situazioni di emergenza: nel caso di incidente grave, per esempio, senza la possibilità di accedere al dataset di un* paziente trans, gli stessi medici potrebbero peggiorare le sue condizioni a causa di indicazioni terapeutiche sbagliate.
Per diverse ragioni, dunque, è evidente quando sia necessario cominciare a raccogliere dati, mentre resta meno chiara l’indicazione terapeutica con cui questo processo potrebbe essere indicato, ovvero una ridefinizione dell’ex “disforia di genere” laddove vi è l’esigenza di medicinali salvavita. Se sappiamo non essere il genere “disforico” ma l’equilibrio ormonale di cui una persona ha bisogno per vivere una vita piena, si potrebbe forse introdurre la “disforia (o incongruenza) ormonale”?
Ricapitolando, la “temporanea” sparizione del testosterone in Italia, la cui sintesi è un brevetto di proprietà della Bayer, è frutto di un monopolio illegittimo che garantisce grossi investimenti periodici pagati dai/dalle contribuenti e dalle persone trans, perché si trovano a comprare il farmaco seguendone le fluttuazioni dei prezzi. Ma se chi paga le tasse non ha la più pallida idea di questi andamenti, chi ha bisogno di cure ormonali sa esattamente chi sono i “peccatori”.
Inoltre, il problema che emerge seguendo le vicende del testosterone, rispecchia un problema più generale, un dramma farmaceutico comune a diverse patologie. Il fenomeno del parallel trade, infatti, colpisce numerose altre tipologie di medicine salvavita come ad esempio i farmaci per le terapie tumorali, per la fibrosi cistica e per il diabete. Recente la storia dei “Caravan per il Canada” (18), ovvero gruppi di americani con il diabete che formano carovane di automobili per andare ad acquistare l’insulina nelle farmacie canadesi dove costa il 90% in meno rispetto alla versione americana (clinicamente identica), perché i prezzi farmaceutici sono fissati da un’agenzia governativa chiamata “Patented Medicine Prices Review Board”. Meno recente ma forse più nota, la strage di morti per AIDS in Sud Africa a cavallo del 2000, culmine dell’epidemia, semplicemente perché inaccessibile ai più un trattamento medicinale di 10.000 dollari all’anno.
Queste emergenze sono generate dal fatto che ogni nuovo medicinale viene brevettato e nessun altro può fabbricare o vendere quel farmaco per un periodo di almeno 20 anni. Senza concorrenza, le case farmaceutiche possono decidere il prezzo che vogliono e, fino ad oggi, si sono difese sostenendo che i costi elevati sono dovuti alla voce di ricerca e sviluppo; eppure, non essendoci trasparenza su come le compagnie farmaceutiche investono il capitale, nessuno è in grado di verificare esattamente se questa sia una ragione plausibile.
Gruppi della società civile, progetti e organizzazioni come Fix the Patent Laws (19), Fair pricing of medicines (20), TAC (21) e Knowledge Ecology International (22) lavorano da anni per l’accessibilità ai trattamenti medicali, mentre un’ultima proposta consegnata al World Health Organization (WHO) arriva dalla Ministra della Salute dell’attuale governo italiano, la Dr. Giulia Grillo, che richiede una risoluzione (23) per migliorare la trasparenza nel mercato dei farmaci. Se questa risoluzione fosse approvata, i governi potrebbero richiedere alle aziende di rivelare i costi annuali di ricerca e sviluppo, i costi di produzione e i margini di profitto dei singoli prodotti farmaceutici. A fine maggio (2019) si terrà il World Health Assembly (24) e se i governi avranno il coraggio di difendersi dai grossi monopoli farmaceutici, potrebbe entrare in vigore una sentenza storica in favore di un maggior accesso alle cure.
Attenersi al sistema attuale, però, non porterà mai un accesso universale ai farmaci e, senza questa prospettiva, alcuni pazienti riusciranno a sopravvivere mentre altri no. Invece di cercare di regolare e modificare i margini di un sistema basato sul monopolio, avremmo bisogno di un sistema diverso, più simile alla mission che si legge sul sito di Open Source Pharma (25): “Create a movement that includes existing initiatives and develops an alternative, comprehensive, open source pharmaceutical system driven by principles of openness, patient needs, and affordability” .
Intorno a queste tematiche, nelle reti di scambio e supporto tra persone che vivono un percorso di transizione, si ragiona sulla necessità di farsi portavoce per categorie più fragili – come malati terminali o cronici – e di intervenire in sede Europea affinché vengano promosse leggi transnazionali per ridurre il margine delle aziende di giocare con la vita delle persone; come anche il desiderio di creare nuove tipologie di consultori “safe e polifunzionali” e di costruire piattaforme open source per la condivisione dei dati.
Open source estrogen
A proposito di open source, in questo capitolo parlo di un progetto che si interroga sulla produzione domestica di ormoni estrogeni. Va specificato che gli ormoni estrogeni non sono attenzionati come il testosterone, non essendo usati per lo sport (e la guerra), infatti, non godono di un mercato nero così florido.
In un articolo intitolato “Big Boring Bureaucratic Revolution” (26), pubblicato a seguito delle giornate di Istanbul Innovation Days (Novembre 2018), tra le “sei zone di sperimentazione” che l’intersezione tra innovazione tecnologica e partecipazione civica producono, ce n’è una che rappresenta l’incontro tra arte e science fiction: “There is a range of interesting initiatives looking at the arts, and in particular at science fiction, as a source of potential directions and lenses to understand the nexus of human and machine rights, emotional and genetic surveillance and human rights, impact of 4.0 technologies on human rights and law”.
In questo senso, Open Source Estrogen (27), un progetto collaborativo guidato dall’artista Mary Maggic, si colloca tra citizen science e design speculativo e ha l’ambizione di sviluppare protocolli DIY/DIWO per la sintesi “domestica” di ormoni, come risposta al forte controllo sui corpi da parte di governi e istituzioni. Se le persone non ricevono farmaci adeguati o sufficienti, è possibile sintetizzarli nell’ambiente domestico? E in che modo possiamo ricontestualizzare la biochimica da laboratorio in una “ricetta” open source che hackera gli estrogeni e che si fonda su equità e accessibilità?
Il progetto ha lo scopo di hackerare ormoni presenti nel nostro corpo e nell’ambiente, creando un accesso non istituzionale alla terapia, oltreché una critica al disciplinamento dei corpi da parte di cultura e mercato. Dall’individuazione all’estrazione di estrogeni, passando per la loro sintesi, queste ricette sono forme di resistenza sociale, strumenti di consapevolezza, terapie DIY che mettono in pratica un hacking del genere. Se le istituzioni e la medicina producono finzioni sul modo in cui i corpi dovrebbero essere divisi per genere e su come dovrebbero riprodursi, curarsi e morire, una metodologia domestica di cura, come quella promossa nei workshop di Mary Maggic, si interroga sul divenire mutante molecolare come forma di liberazione dei corpi: “In our scientific methods, we do not seek techno-solutionism. With the creation of a DIY estrogen protocol, increased endocrinological know-how and body sovereignty, becomes a public platform for discussing the ethics of self-administering self-synthesized hormones. What physiological dangers are posed with potential overdosing and exposure to impurities, and what will people trade in return for wrestling greater control over their bodies?” (28)
Evidentemente, quando pratiche di questo tipo sono slegate da istanze politiche democratiche si tramutano in laboratori dell’orrore, ma risultano fondamentali se si contestualizzano e promuovono un framework di lotta contro gli stereotipi culturali e contro il monopolio dei brevetti e di accesso alla salute. Discutendo con Yuri e Samuel, l’idea di sintetizzare la propria dose di testosterone diventerebbe interessante nella misura in cui fosse capace di scavalcare il brevetto della Bayer e generare la sintesi open source di un farmaco in questo modo più accessibile; di creare vita e conoscenze in comune.
In un recente report di Nesta (Hacking bureaucracy from the inside, 2018) (30) viene citato un articolo di Kit Collingwood-Richardson (29) in cui si elencano 9 metodologie attraverso cui il servizio pubblico potrebbe rispondere in modo più efficiente alle trasformazioni sociali in corso. Il punto 7 si chiama “Co-create policy with those impacted in the room” e, a partire dall’assunto che “niente si fa per noi senza di noi”, parla della necessità di includere i/le pazienti nel design delle soluzioni che si cercano, ovvero di ascoltare coloro che ne saranno influenzati a vita: smettere quindi di prendere decisioni (sbagliate) in stanze bianche e lontane dalla realtà, e tra persone che non hanno una specifica esperienza in merito.
Eppure, fino a che le politiche governative non saranno capaci di trasformarsi da dentro, applicheremo tutti i nostri poteri biopolitici nella creazione di forme di riproduzione sociale democratiche e immaginative, resistendo alla mercificazione e alla privatizzazione del diritto di vivere. Per queste ragioni, laboratori “domestici” come Open Source Estrogen – che possono essere definiti come pratiche mediche “aliene”, in piena continuità con la politica di “aprire la pillola” (31) – oltre a rappresentare un campo specifico di “innovazione sociale digitale” tra il biohacking e l’open science, sono fortemente connesse con le attuali lotte sociali che, in modo massivo, stanno chiedendo sistemi di assistenza sanitaria pubblica più accessibili; dove autonomia, autodeterminazione, gestione dei dati e open source siano diritti garantiti.
Note
(1) Nel 1871 la parola “femminismo” fu usata per la prima volta da un giovane medico francese di nome Ferdinand-Valère Fanneau de La Cour, nella sua tesi di dottorato: “Sul femminismo e l’infantilismo nei malati di tubercolosi”. Il femminismo qui è inteso come una patologia di uomini affetti da tubercolosi che produce una femminilizzazione del loro corpo. Successivamente il termine “femminismo” fu impiegato per accusare gli uomini che sostenevano le battaglie delle donne per il diritto al voto.
(2) Una ricerca condotta dal Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti d’America
(3) https://it.wikipedia.org/wiki/Policlorobifenili; http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_821_allegato.pdf
(4) https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25813067
(5) https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/30772709
(6) Tsang, M. (2017). Open source estrogen: from biomolecules to biopolitics… hormones with institutional biopower! Tesi di Dottorato Massachusetts Institute of Technology.
(7) Si definisce transizione il percorso che porta un individuo a smettere di vivere il ruolo relativo al sesso biologico di appartenenza per arrivare a vivere nell’identità di genere di elezione.
(8) http://www.aifa.gov.it/sites/default/files/elenco_medicinali_carenti_03.05.2019.pdf
(9) http://www.aifa.gov.it/content/carenze-e-indisponibilt%C3%A0
(10) Autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco che viene concessa dall’AIFA dopo che un gruppo di esperti ne ha valutato la sicurezza e l’efficacia, e l’ha certificata attraverso una sorta di “carta di identità” del medicinale in cui sono indicate le caratteristiche essenziali che lo identificano.
(11) http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?approfondimento_id=12921
(12) https://www.upf.edu/documents/3223410/3287206/wp60_desogus.pdf/dcff03ed-451b-4c79-a937-e54b98f8d038
(13) Secondo il capo dell’Europol, Rob Wainwright, i farmaci occupano due terzi del traffico nel darkweb. http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=56509
(14) L’ipogonadismo è una patologia del sistema endocrino che comporta una inadeguata secrezione di ormoni sessuali (es. testosterone ed estrogeni) da parte delle gonadi (ovaia o testicolo).
(15) Il 18 maggio 2018, nella pubblicazione del nuovo ICD-11 (sigla che sta per International Classification of Diseases 11th Revision, cioè l’11esima revisione della Classificazione internazionale delle malattie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) è stata rimossa l’incongruenza di genere (diagnosi che viene fatta alle persone trans se accedono ai servizi sanitari) dal capitolo relativo ai disturbi mentali, spostandola in un capitolo creato ad hoc e denominato “Condizioni relative alla salute sessuale”.
(16) A tali medicinali è stata attribuita la classe di rimborsabilità C (non rimborsabili dal Servizio Sanitario Nazionale-S.S.N.), con regime di fornitura RNRL (ricetta non ripetibile limitativa: in quanto medicinali vendibili al pubblico dietro prescrizione di Centri ospedalieri o di medici specialisti).
(17) D’altro canto, la legge n. 648 del 23 dicembre 1996 consente di erogare a carico del S.S.N medicinali da impiegare per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata, a seguito della richiesta proveniente dalla Commissione Tecnico-Scientifica di AIFA, da Associazioni di malati, Società scientifiche, Aziende Sanitarie, Università ed Istituti, di ricovero e cura a carattere scientifico, previa attenta valutazione delle evidenze scientifiche a sostegno.
(18) https://boingboing.net/2019/05/09/life-or-death.html
(19) https://www.fixthepatentlaws.org/
(20) https://www.who.int/medicines/access/fair_pricing/en/
(21) https://tac.org.za/
(22) https://www.keionline.org/
(23) https://www.keionline.org/29721
(24) https://www.who.int/about/governance/world-health-assembly
(25) http://www.opensourcepharma.net/
(26) https://provocations.darkmatterlabs.org/nextgengov-the-big-boring-bureaucratic-revolution-39ccc3a6c9f8
(27) http://maggic.ooo/Open-Source-Estrogen-2015
(28) Tsang, M. (2017). Open source estrogen: from biomolecules to biopolitics… hormones with institutional biopower! (Doctoral dissertation, Massachusetts Institute of Technology).
(29) https://www.nesta.org.uk/blog/hacking-bureaucracy-inside/
(30) https://medium.com/foreword/empathy-and-the-future-of-policy-making-7d0bf38abc2d
(31) http://www.kabulmagazine.com/paul-b-preciado-rivolta-epoca-tecnopatriarcale/?fbclid=IwAR1JuQC-wM_xkWi0tG2-knkH8Gf8v1kP8zHI02Ofi1D836_niwt_iUMg1Bw
by Maddalena Fragnito (WeMake). WeMake is the cluster lead for Health and Care in DSI4EU project
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