#WeMake Stories: WeHandU la community di co-design di ausili

posted on novembre 20th 2017 in MIR & Opencare & WeMakeStories with 0 Comments

Da chi è composto il vostro team?
Federico Bortot
: oggi siamo in tre, ma il progetto è sostenuto da una comunità. Sono laureato in Ingegneria Civile e adesso, all’interno della laurea specialistica in Design Engineering, sto facendo il tirocinio presso il Don Gnocchi in ambito riabilitativo.
Rune Thorsen: io sono ingegnere elettronico e faccio ricerca sulla riabilitazione motoria.
Francesco Zava: io sono un programmatore vecchia scuola, nel team mi occupo della documentazione.

Benvenuto al team WeHandU per la prototipazione di un ausilio

Benvenuto al team WeHandU a WeMake

Perché vi chiamate così?
R: abbiamo voluto trovare un nome che mette insieme la tecnologia con chi ha un bisogno. L’idea di WeHandU è che noi siamo quelli che hanno “la tecnologia” e la passiamo a qualcun’altro in modo che possa usarla.

Come siete entrati in contatto con WeMake prima e con opencare poi?
Fr: la colpa è mia! Frequento WeMake da diverso tempo, perché sono interessato alla realizzazione di un dispositivo da collegare alla carrozzina. Quindi mi sono avvicinato a questa realtà, alla comunità di Arduino e alla scena maker. Da lì è partito tutto e visto che anche Rune stava cercando una seconda via un po’ alternativa per la ricerca sulla riabilitazione, patatrac è successo il fatto! L’ho invitato una sera all’Arduino User Group & Wearables e da lì è nata la scintilla.

Il team durante l'intervista a WeMake

Il team durante l’intervista a WeMake

Cos’è WeHandU?
R: il progetto è nato perché Alexander Shumsky (altro membro del team, ndr) aveva chiesto se poteva fare il tirocinio al Don Gnocchi per avvicinarsi all’ambito biomedicale, questa sua richiesta si sposava bene con un mio progetto che ho da un po’ di tempo su una neuroprotesi per reinstaurare la presa della mano, un progetto che non ha trovato risonanza nell’industria, perché c’è il famoso ostacolo tra l’idea, il dimostrare che funziona e poi trovare un mercato.

Si parla del progetto di WeHandU dentro al makerspace

Si parla del progetto di WeHandU dentro al makerspace

Quando è successo questo?
R: la neuroprotesi è nata 20 anni fa, il progetto è maturato con vari esperimenti clinici anche abbastanza corposi, con screening di 300 persone e coinvolgendo circa 30 persone nel team. La domanda è come fai a uscire dall’ambito accademico senza mettere in piedi un’impresa. E poi c’è l’aspetto legato ad opencare di coinvolgimento dell’utente visto come una risorsa, come un costruttore!

Il progetto 3D pronto per la stampa

Il progetto 3D pronto per la stampa

Qual è il progetto che portate avanti durante la Maker in Residence?
Fe: vogliamo trovare il modo di sviluppare ulteriormente l’idea di WeHandU, di uscire dalla nostra comunità di riferimento e far conoscere il progetto ad esempio attraverso un sito web.
R: poi c’è una parte pratica, che è un ausilio molto primitivo che abbiamo sviluppato con una signora che aveva bisogno di allungare le posate. L’abbiamo portata qui a WeMake e ha stampato lei il suo strumento!
Fr: le abbiamo fatto un piccolo corso di home shaping così, se le viene in mente di fare delle altre cose, può farle in autonomia. È una persona molto attiva, con molte idee. All’Arduino Day di quest’anno abbiamo anche fatto una call agli smanettoni per sviluppare un dispositivo indossabile con tutta una parte legata al recupero della mano e alla deambulazione. A WeMake chiediamo supporto anche su questo aspetto.

La stampa del prototipo

La stampa del prototipo

Chiedete quindi un supporto da parte della community del makerspace?
R: l’idea di questo progetto è provare a sperimentare un modo diverso di approcciarsi che è in contrasto con il classico progetto istituzionale dove hai un piano rigido che stabilisce ruoli strutturati e ha tempi un po’ faraonici. Sperimentare soluzioni e prototipare sono in contrasto con questo tipo di organizzazione.
Fr: bisogna anche sottolineare che WeHandU vuole essere una sfida al sistema sanitario perché buona parte degli ausili, dei tutori e delle protesi vengono abbandonati perché non soddisfano i gusti o le caratteristiche personali degli utenti. Si potrebbe ridurre la percentuale di abbandono degli ausili con una maggiore personalizzazione dell’oggetto. Customizzando l’oggetto si responsabilizza l’utente che diventa parte della progettazione dell’oggetto.

I prototipi stampati

I prototipi stampati

Fe: Parliamo di codesign e coprogettazione con gli utenti.
Fr: tanto è vero che il core del care del progetto WeHandU è che all’interno del processo non c’è più la prescrizione del medico che decide l’ausilio con il catalogone, ma il fatto di poter – attraverso la collaborazione di figure professionali legate al design e altre competenze – realizzare insieme il prodotto. Ci sono i cosiddetti facilitatori, persone con competenze tecniche, e poi ci sono i portatori di interesse che acquisiscono le competenze in un contesto come WeMake dove si trasmette la conoscenza ad altre persone che possono avere gli stessi bisogni. La vera novità non è solo la realizzazione di un prodotto customizzabile e riproducibile, quanto quello di innescare un processo virtuoso che rientra nella cultura open source e maker.
R: il progetto opencare è quello che sogniamo di fare, perché è la manifestazione di una cosa che normalmente non viene vista bene. L’Unione Europea ha dato la possibilità di portare avanti un progetto di questo tipo e l’approvazione del Comune di Milano non è da poco, vuol dire che c’è un nuovo modo di pensare e lavorare che viene esplorato.

La bobina e il materiale per il prototipo

La bobina e il materiale per il prototipo

Se dovete pensare al vostro futuro a medio termine qual è il sogno?
R: è quello di vedere una community molto interdisciplinare che cresce.
Fr: avere una community che si può muovere sia offline, a livello di makerspace come WeMake, sia online facendo formazione e coinvolgimento.
R: e il fine confermativo del progetto, il lieto fine diciamo, è che venga adottato come modello ospedaliero. Esistono già posti dove in un certo senso il paziente viene coinvolto nella progettazione della sua vita dopo un incidente.
Fr: vorremmo superare la fase di passività dell’utente, che può avere delle consulenze e delle alternative di scelta, ma la cui partecipazione è sostanzialmente solo quella della fruizione dell’ausilio, ma tutto il processo non lo chiama in causa.

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