Pirate Care -Immaginarsi una diversa assistenza sanitaria

posted on ottobre 9th 2018 in Featured & News with 0 Comments

Recentemente si parla molto del bisogno di innovare i sistemi di cura introducendo più principi di autonomia e auto organizzazione. Lasciando alle spalle la figura del paziente — un soggetto che, come dice il nome, attende passivo l’aiuto del personale medico — molti ricercatori e politici si stanno orientando verso un modello che in inglese viene definito ‘people powered health’, dove la cura passa dall’essere un servizio erogato dall’alto, al divenire una rete di attori coordinati.

Allo stesso tempo, per un gran numero di persone, l’auto organizzazione della cura non è una questione di predilezione, ma diventa sempre più una necessità di sopravvivenza. In Grecia, ad esempio, dove la politica finanziaria ha decimato i servizi di assistenza pubblica, da dieci anni operano cliniche di base istituite dal movimento di solidarietà, luoghi dove medici volontari visitano e garantiscono medicinali a chi non ha né diritti né assicurazione privata. Anche in Italia si moltiplicano iniziative simili, come ad esempio l’Ambulatorio Medico Popolare di Milano, spazi che offrono cure mediche gratuite a chi non ne ha accesso.

La novità di queste esperienze contemporanee di cura dal basso è che i protagonisti raccontano le proprie attività in termini apertamente politici, posizionandosi in maniera molto diversa rispetto alla narrazione della cura come pratica neutra e apolitica a cui ci aveva abituato il ‘terzo settore’, attraverso la retorica del superamento della destra e della sinistra.

Le esperienze che guardano all’auto organizzazione della salute e della cura sono molto chiare nel loro messaggio: il sistema assistenziale è in crisi e dobbiamo reinventarlo partendo da ciò che già sappiamo. Una delle cose che già sappiamo, per esempio, è che affidare la salute pubblica ai meccanismi di mercato o finanziarizzare le attività di cura non funziona — ricordate quando, solo pochi anni fa, Occupy ricomprava i debiti sanitari dagli speculatori finanziari salvando dal debito e dalla bancarotta migliaia di americani o la scena di Sicko, il documentario di Michael Moore dove un ragazzo deve scegliere quale delle dita farsi amputare perché non ha abbastanza soldi per salvarle tutte?.

Screenshot dal fil Sicko  di Michael Moore

Screenshot dal fil Sicko  di Michael Moore

Un’altra cosa che sappiamo è che non possiamo oggi mantenere i modelli di gestione frequenti nel settore pubblico. La maggioranza dei sistemi sanitari nazionali sono stati pensati per tecnologie e bisogni del secolo scorso e spesso le amministrazioni faticano ad adattarsi alle sfide sanitarie del contemporaneo, in cui le patologie croniche stanno crescendo rispetto a quelle epidemiologiche per le quali quei sistemi di intervento furono originariamente pensati. Una terza cosa che certamente sappiamo è che non si può retrocedere verso idee conservatrici che tornano a pensare la cura come un problema privato da risolversi in famiglia, cosa che implica che l’assistenza viene delegata interamente ai parenti come fatto naturale, che perlopiù saranno donne, oppure, quando ce lo si può permettere, a terze persone pagate, anche in questo caso perlopiù donne e razializzate.

Tra coloro che stanno ripensando l’ecosistema della salute e della cura in modo più equo ed efficace, ci sono un certo numero di attori — spesso le piccole organizzazioni — che sperimentano con le opportunità introdotte dalle tecnologie digitali. Questi nuovi attori stanno sviluppando dispositivi fai-da-te, componenti indossabili, componenti personalizzati stampati in 3D, app e oggetti intelligenti per intervenire in aree altrimenti trascurate dai più grandi attori del sistema di assistenza e anche da molti enti del terzo settore, tradizionalmente refrattario alla tecnologia digitale e all’innovazione in generale. Inoltre lo stanno facendo sviluppando pratiche aperte e cooperative, rifiutando il modello dominante dell’innovazione competitiva via startup. Vorrei presentare questa nuova modalità operativa con il nome di ‘pirate care’ — o cura pirata.

Pirate Care
La pirateria e la cura non sono sempre nozioni immediatamente associabili. Per la cultura popolare e nei media, la figura del pirata è spesso rappresentata da persone furbe, spesso figure maschili, che gestiscono server dove scaricare illegalmente file di ogni tipo. Una delle prime organizzazioni che quindici anni fa articola la posta in gioco della condivisione libera dei contenuti online, infatti, si chiama proprio Piratbyrån: “Quando pirati mp3, stai scaricando il comunismo” era un motto popolare dell’epoca. Portare oggi l’idea di un’etica pirata all’interno delle pratiche di cura contemporanea, può essere utile a sviluppare una diversa narrazione di queste pratiche. ‘Pirate care’ propone un cambio di paradigma al concetto di assistenza sanitaria e, nel farlo, si posiziona inevitabilmente dentro una relazione conflittuale con la legge e lo status quo.

Questi ‘pirati della cura’ stanno emergendo e moltiplicandosi in una società attraversata da crisi sempre più acute. Proviamo a pensare questo ‘pirata’ attraverso un’altro immaginario: si tratta di una donna, in piedi sul ponte di una barca che naviga nel Mar dei Caraibi. L’imbarcazione e il suo equipaggio composto da dottoresse e attiviste si sta dirigendo verso il Golfo del Messico per ancorare in acque internazionali e consegnare pillole abortive a donne per le quali questa opzione è illegale.

L’associazione Women on Waves, fondata nel 1999, organizza missioni nautiche per garantire aborti sicuri in acque internazionali. Sono per lo più azioni simboliche, anche perché si tratta di operazioni molto costose, che servono per stimolare il dibattito pubblico, anche generando grandi controversie — è successo che le loro barche siano state intercettate addirittura da flotte militari. Leticia Zenevich, la portavoce di “Women on Waves”, ha dichiarato all’ HuffPostIl fatto che le donne abbiano bisogno di lasciare la sovranità statale per mantenere la propria sovranità — fa sì che gli Stati stanno deliberatamente impedendo alle donne di accedere al loro diritto umano alla salute”.

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