#WeMakeStories: Giorgia tra arte, nuovi media e wearables
L’incontro di Giorgia Petri con WeMake è stato proprio alla sua inaugurazione nel 2014 grazie alla segnalazione di un’amica, Alka Cappellazzo che poco dopo, avrebbe poi iniziato a curare l’appuntamento mensile della Community Night del Milano Live Coding. L’anno precedente Giorgia Petri e Laura Migliano avevano fondato Calembour Art, un progetto di arte contemporanea che si focalizza nell’esplorazione dei nuovi media e l’interesse per makerspace e fablab era proprio dovuto all’opportunità di utilizzare tecnologie di fabbricazione digitale per le loro installazioni. Giorgia, infatti, dopo la laurea in Ingegneria, decise di frequentare l’Accademia di Brera dove incontrò Laura che arrivava invece da Filosofia e Scienze della Comunicazione.
Oggi Giorgia fa parte del gruppo docenti di WeMake: in particolare nei prossimi mesi, insieme a Zoe Romano, terrà due corsi sui wearables, dal 8 al 10 ottobre Introduzione ai Wearables – tecniche e materiali e dal 5 al 9 novembre Wearables Pro, all’interno della proposta formativa di Fastweb Digital Academy sostenuta da Cariplo Factory.
Quando hai iniziato a frequentare WeMake?
All’inizio passavo da WeMake in modo irregolare, poi, nel 2016, sono venuta a realizzare un progetto di citizen science con Laura: avevamo vinto un bando (Ecoismi) con il quale dovevamo realizzare il progetto “Photosyntesis“. In pratica dovevamo costruire una sfera con un diametro di circa un metro, in legno, che conteneva dei sensori per misurare gas e polveri sottili nell’aria. I led posizionati nella sfera cambiavano colore a seconda dei differenti parametri dei gas e il tutto era alimentato a energia solare e l’installazione era appesa a un ponte sul naviglio. Potremmo dire che è stato uno dei primi esperimenti di tecnologia DIY applicata alla land art.
Come sei passata dall’arte ai wearables?
Sempre nel 2016 Zoe Romano, che sapeva del mio lavoro con Arduino e i progetti interattivi, mi ha coinvolta come assistente nel workshop di calzature interattive che teneva allo Shoe Style Lab di Vigevano presso il Museo Internazionale della Calzatura con gli studenti olandesi di SLEM, oggi Footwearists, di passaggio dall’Italia. Così ho iniziato a lavorare sui wearables anche se in generale sono sempre stata interessata al textile e avevo esperienza con Arduino e altri dispositivi/software interattivi, ma con questa prima collaborazione ho iniziato ad avvicinarmi al mondo dei wearable e etextile.
Cosa sono i wearables e perché sono interessanti?
Innanzitutto parliamo di una tecnologia indossabile che può anche non essere textile, noi tutti siamo invasi dalla tecnologia che posizioniamo sul nostro corpo senza rifletterci molto. Mi riferisco ad oggetti come ad esempio gli smartwatch che fra l’altro raccolgono dati biometrici che ci riguardano. Quindi, prima di tutto quando si parla di wearables dobbiamo essere consapevoli di quello che implicano. Poi invece per quanto riguarda il tessile, posso dire che è un mondo vastissimo da esplorare, proprio per il suo carattere sperimentale e interdisciplinare, che è poi la ragione principale del mio interesse. Sto portando avanti la mia ricerca principalmente qui a WeMake. In questo momento curo la parte elettronica e interattiva del progetto Paramatrix, per cui Zoe a WeMake ha vinto un finanziamento per sviluppare un tessuto interattivo in collaborazione con EJTech. Con Laura e il progetto Calembour sto approfondendo l’intersezione tra ricerca audio e textile.
Come ti trovi a fare il docente nei corsi di WeMake?
Bene, è molto stimolante entrare in contatto con studenti e studentesse. Con quelli che ho conosciuto ai corsi sui wearables sono entrata subito in sintonia forse anche perché eravamo praticamente coetanei e quindi abbiamo discusso e avuto scambi alla pari. Ma devo dire che anche coi bambini mi sono trovata molto bene, quest’estate ho insegnato ad usare Arduino al Maker Camp di Cariplo Factory curato da WeMake per i bambini fra gli 8 e i 13 anni. Vivo l’insegnamento come uno scambio di conoscenze e quindi è molto stimolante anche per me che faccio la docente.
Avevi già lavorato in un fablab/makerspace prima di WeMake?
No mai. Devo dire che l’impatto già da subito è stato folgorante. Il carattere di ricerca, di orizzontalità, il modo di riscrivere la didattica, il tipo di macchine utilizzate, la conoscenza pratica e teorica che si acquisisce e non ultime le persone che vi gravitano: tutto questo mi ha permesso di trovare, spero, la mia strada professionale e di liberarmi di parte delle paure verso il mondo lavorativo contemporaneo.
Progetti presenti e futuri?
In questi giorni (il 12 settembre, ndr) abbiamo inaugurato il progetto Calembour | Echo Chamber visitabile all’edicola Radetzky sulla Darsena a Milano fino al 10 ottobre. Le Echo Chamber sono stanze virtuali nelle quali l’illusione di una “moltitudine affine” è infinitamente reale. L’installazione vuole portare a riflettere sulla reale natura dei social media, che supponiamo essere strumenti paritari e democratici di interscambio e condivisione. In realtà si sono rivelati essere soprattutto giganteschi palazzi degli specchi nei quali ciascuno cerca e trova conferme alle proprie opinioni e vede riflessi se stesso, le proprie convinzioni e il proprio malessere, oltre che efficientissimi strumenti di propaganda politica. Le eco-chamber sono così il calco immateriale dell’infinity mirror, lo specchio infinito, nel quale la tendenza tutta umana all’ipertrofia dell’ego non trova ostacoli al proprio riflesso sconfinato.
All’Arduino Day 2018 che abbiamo celebrato a WeMake, Giorgia e Laura hanno portato il progetto Urus, un’installazione interattiva, basata sul contatto con l’acqua che attiva l’interazione con il suono e il video, agendo su entrambi contemporaneamente.
Si possono seguire Giorgia Petri e Laura Migliano e rimanere aggiornati sui loro progetti qui.