La cultura del fare: una ricerca su WeMake

posted on maggio 30th 2017 in Featured & News & Opencare & Progetti with 0 Comments

Ai nostri eventi partecipano sempre più spesso persone che non si definiscono makers, ma che vengono volentieri a scoprire cos’è e cosa si fa in un makerspace. Entrare e scoprire come avvengono i processi può essere un’ottima metafora per interpretare il mondo contemporaneo. Da un paio di mesi un etnografo partecipa alla vita del nostro fablab. Federico Monaco si occupa da tempo di ricerca sociale su scienza e tecnologia e si è unito al team per seguire il progetto europeo opencare. In particolare, Federico sta portando avanti una ricerca etnografica presso WeMake sui processi di collaborazione e innovazione.
Gli abbiamo fatto alcune domande.

Quando hai iniziato il tuo viaggio dentro a WeMake?

La ricerca è iniziata ad aprile e durerà fino a novembre. Come molti sanno l’etnografia consiste nel descrivere ciò che gruppi o comunità umane fanno, ma soprattutto come lo fanno, come informano le pratiche; è necessario comprendere il senso delle rappresentazioni che circolano tra persone, del traffico di oggetti e del valore attribuito a ciò che avviene quotidianamente. È l’emergenza di identità, relazioni e oggetti e di come questi vengono assegnati nell’ordine delle classificazioni sociali a cominciare da chi si riconosce come maker e perché.

wemakescape
Come sei arrivato qui?

A partire da aprile 2016 mi sono interessato alla parte di ricerca del progetto europeo opencare, che consiste tra l’altro nell’analisi delle conversazioni sui post pubblicati sulla piattaforma edgeryders, soprattutto storie di salute e esperienze di pazienti, innovatori e care givers.

In quanto sociologo ed esperto di e-Learning & Community Management mi sto occupando di processi sociali d’innovazione per sei master in professioni sanitarie presso il Dipartimento di Medicina dell’Università di Parma. Ricercare fenomeni di coinvolgimento e di mobilitazione da parte dei destinatari stessi della cura e assistenza, o di altri attori come makers e hackers, permette di comprendere meglio cosa stia avvenendo. L’obiettivo è di tracciare traiettorie e proposte al fine di orientare gli sviluppi del fabbisogno formativo e metodologico. Innovare la didattica con l’utilizzo di piattaforme per la formazione a distanza non basta; occorre connettere la formazione con la pratica, con la ricerca e con la società stessa. Per far ciò occorre far conoscere il web ai futuri professionisti sanitari come un neo strumento di lavoro e ambiente di comunicazione, confronto e collaborazione. Ciò diventa possibile anche grazie alla costruzione di scenari sui possibili futuri del mondo della cura tra tecnologie, reti e soluzioni.

In opencare ho trovato molto interessante l’approccio ibrido alle conversazioni online e l’aspetto della ricerca sull’intelligenza collettiva generata da queste. Attraverso l’analisi etnografica, la creazione di codici e la successiva elaborazione con la network analysis, possono emergere co-occorrenze e relazioni tra i nodi del network rappresentati dalle conversazioni codificate. In ciò WeMake ha un ruolo chiave come attore ibrido e smart collector, in quanto collega ciò che avviene sia online che nella pratica manuale, reinventando modi, tempi e soprattutto soluzioni per la cura e la salute.


Puoi raccontarci qualche dettaglio della ricerca? Ad esempio, su cosa si basa?

Una ricerca etnografica si basa non solo su strumenti di raccolta delle informazioni, ma anche su metodologie adatte e osservazione, soprattutto una lunga osservazione.
Dato che parte delle interazioni avvengono in contesti non digitali, per la ricerca presso WeMake ho ritenuto utile oltre che scrivere, prendere appunti e riportare in file di testo gli argomenti di conversazione e le interazioni tra le persone, per poterle analizzare in seguito, anche fare riprese video, fotografare e registrare l’audio per creare dei soundscapes del fablab. Tra i miei interessi di ricerca c’è anche l’antropologia del suono, e in particolare il bisogno di ricostruire il senso delle strutture sociali e delle relazioni tra umani, oggetti e ambiente utilizzando l’udito, molto penalizzato dal mondo visuale e delle immagini. In passato, l’ho utilizzato per presentare la bioacoustemology alle allieve ostetriche e impegnarle nel mettere in relazione suoni e maternità al fine di scoprire valori e elementi diversi rispetto a quelli presenti in altre etnografie della nascita. Per soundscapes intendo delle esperienze sonore che riguardano certamente il verbale, le conversazioni che avvengono durante le interazioni, ma anche i rumori delle macchine, dei ping della messaggistica istantanea, l’eccezionalità del silenzio che avvolge a volte tutto, quando le macchine si fermano e le menti sono concentrate sulla progettazione di qualcosa.

Per ciò che riguarda il virtuale invece, sto archiviando gli screenshot che prendo durante le conversazioni sui post della messaggistica interna, o dei post pubblicati online. Inoltre, agli hangout di WeMake a cui assisto ho dedicato una propria categoria di archiviazione. Posso partecipare a tutte le attività, discutere con makers e collaboratori i processi e assistere agli incontri; ho accesso alla documentazione che posso consultare anche quando sono a casa dal momento che si trova online.

Abbiamo notato che sei anche molto attivo, che interagisci con noi e partecipi oltre ad osservare.

Osservare altre persone impegnate nelle loro attività quotidiane diventa dopo breve tempo un modo di stare insieme, di condividere idee, progetti, problemi, saperi e sapori (durante le pause pranzo). Inoltre un mio ruolo attivo è previsto nel progetto. È una esperienza di crescita e cambiamento anche personale, inizio a “vedere come” in modi alternativi, a percepire e portare l’attenzione su dettagli dell’innovazione e delle tecnologie nuovi per me.
Pertanto la domanda che mi faccio questi giorni è: cosa ho visto in questo primo periodo di osservazione? Ci sono tantissime attività condotte da una o più persone, a WeMake o da casa, online e in presenza, ci sono inoltre le macchine, che come non umani costituiscono elementi sicuramente diversi, ma non minori rispetto alle dinamiche di interazione e di produzione. Computers, stampanti 3D, robot, processori, adattatori per spine, ciabatte e prolunghe ovunque, ma anche software, plug-ins, aggiornamenti, versioni, app native o desktop intervengono e orientano il modo in cui le cose vengono rappresentate e fatte a WeMake. Conoscere cosa le macchine possano fare, quali siano le piattaforme e applicazioni adatte per fare delle cose, quelle con le caratteristiche più adatte e affidabili anche se non compatibili con un altro ambiente di lavoro online vengono adottate. C’è una complessità, una foresta digitale, una costellazione di stack che è necessario conoscere per comunicare in modo efficace e far procedere un progetto, per far funzionare con successo il taglio laser. Ma la cosa va rivista di continuo, e non ci sono skills tecniche definitive che si applicano sempre e comunque, ma è sempre necessario testare, negoziare tra diversi standard e formati, sistemi, tempi.
Ciò su cui sto lavorando di più ora è comprendere come i processi siano distinti dalle attività, ma occorra ridefinirli ad hoc per ciascuna attività, in breve co-emergano e si informino reciprocamente. È anche interessante notare che ciò avviene a tutti i livelli, durante tutte le attività e da parte di tutte le persone che collaborano presso WeMake.

Makers4Residence 2_0

Come pensi di utilizzare i dati della tua ricerca?

Il materiale è molto interessante, ma anche molto vasto, pertanto sarà necessario fare delle scelte, o perlomeno suddividerlo ulteriormente per soddisfare dei criteri che dovrò definire con delle categorie di analisi più dettagliate, ad esempio i processi di decisione, la leadership, la collaborazione, come la comunità apprende e cosa ricorda/o dimentica. L’aspetto cognitivo è fondamentale per cogliere come l’organizzazione converta gli elementi esterni, o interni in informazioni, progetti, artefatti e eventi. I report #NotesfromWeMake, che scrivo settimanalmente per il network opencare, vanno a contribuire al processo di ricerca etnografico e di processing dei dati con la SNA (Social Network Analysis), ma ci sono aspetti e sfumature che riguardano più il mondo peculiare e sociale dei makers, la loro identità e le relazioni con gli attori istituzionali, culturali e sociali sul territorio. Descrivere e comprendere tali aspetti può contribuire a snellire e ottimizzare processi e pratiche già presenti, o addirittura a crearne delle nuove per una crescita di WeMake stesso e dei professionisti dell’innovazione e del design.

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