Openness e cura: un merito e un invito alla comunità maker

posted on ottobre 26th 2016 in Opencare with 0 Comments

WeMake ha curato il panel “Openness e cura: quali sono gli agenti di cambiamento nell’ecosistema di cura?” nell’ambito del Festival delle Comunità del Cambiamento di RENA, domenica 9 ottobre presso Base Milano.

Sono intervenuti al panel Ezio Manzini, designer e studioso di interventi sociali, Carlo Mango, responsabile dell’area ricerca in Fondazione Cariplo e Renato Galliano, direttore del settore sviluppo e smart city del Comune di Milano. Ha moderato Costantino Bongiorno di WeMake.

Vi proponiamo alcune considerazioni sui contenuti emersi nel panel oltre a un abstract (qui si seguito), una relazione dell’incontro (in PDF) e delle immagini che hanno accompagnato l’incontro per facilitare l’attività di riflessione e confronto.

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La prima considerazione è relativa alla consapevolezza degli attori intervenuti relativa alla trasversalità delle politiche che intervengono nell’ambito di cura: per tutti infatti non è un fattore che appartiene solo all’ambito socio-sanitario anzi pervade altri settori.Sono stati citati interventi educativi in ambito scolastico, progetti culturali che hanno ottenuto come risultato inclusione sociale, interventi relativi alle politiche attive per il lavoro che hanno creato coesione.

La seconda considerazione è relativa alla dimensione di comunità che investe i progetti di cura. Fondazione Cariplo ha nelle sue politiche investito molto in termini di cambiamento di paradigma nel welfare attraverso il sostegno a progetti di welfare di comunità. Progetti in cui il cittadino è protagonista del benessere della comunità: motore è la proattività della cittadinanza, non la semplice partecipazione, ossia la presa in carico della collettività attraverso le relazioni e le conseguenti azioni che ne derivano. Anche il Comune di Milano attraverso i progetti di rigenerazione urbana sta intervenendo in tal senso.

La terza considerazione è relativa all’apertura degli interventi nelle comunità. Apertura intesa come possibilità di accesso e possibilità di inclusione nei processi di cambiamento tutti i cittadini. La comunità maker attraverso il fenomeno dell’opensource ha di fatto permesso un cambiamento culturale che ha investito successivamente le politiche. I maker sono riconosciuti nel contesto milanese come agenti di cambiamento. Il fenomeno della sharing economy è un chiaro esempio del cambio di direzione delle politiche provenienti da questo background. I maker dovrebbero comunque rendere le loro attività più propedeutiche per agevolare l’accesso a processi di conoscenza capaci di impattare i sistemi. Attualmente le possibilità di accesso sono sperimentate attraverso processi di codesign che coinvolgono cittadini nella ricerca di soluzioni in ambito di cura.

Molti passi sono stati fatti quindi, ma come garantire la scalabilità di pratiche aperte in ambito cura?


30567086725_cc540584a0_zUna delle tavole disegnate durante il panel da Silvia D’Ambrosio
(clicca sull’immagine per visualizzare il rapporto del panel)

Abstract del panel

Il panel ha avuto inizio con la presentazione di Costantino Bongiorno sul progetto europeo opencare, il quale ha illustrato alcune delle dinamiche sperimentali (clicca qui per maggiori dettagli) che WeMake ha condotto da gennaio a luglio in collaborazione con il Comune di Milano.

Dopo una breve introduzione dunque sul progetto opencare la parola passa poi ad Ezio Manzini, designer e ricercatore nell’ambito dell’innovazione sociale, al quale viene chiesto di provare a chiarire questi due concetti indefinibili di “open” e “cura”. All’interno di opencare, Manzini si pone come “wizard” ossia come osservatore silente in grado di concentrare, all’occorrenza, le giuste attenzioni, considerazioni e risorse dedite al progetto. Non definendosi un maker, Ezio Manzini propone una diversa interpretazione della parola “open”, riferita non alla libera documentazione di un dato progetto, bensì alla pura ed intrinseca condivisione di uno stesso linguaggio di comunicazione. Tipologia di comunicazione caratterizzata da regole trasparenti e condivise da chiunque.

La riflessione si sposta sull’impatto che una co-progettazione può generare grazie alla collaborazione tra le diverse comunità ed attori di innovazione.

Carlo Mango, direttore dell’Area Scientifica e Tecnologica di Fondazione Cariplo, contribuisce al panel fornendo un altro esempio pratico di co-design,  raccontando come è nato CREW (Codesign for REhabilitation and Wellbeing), progetto finalizzato alla ricerca e alla realizzazione di soluzioni tecnologiche innovative per la riabilitazione e il benessere di persone con disabilità temporanee, permanenti e/o legate all’avanzare dell’età.

CREW è un progetto nato non senza difficoltà. Nasce in Fondazione Cariplo a seguito di una serie di dibattiti tra diverse figure professionali, incentrate su un piano di azione finalizzato al benessere della persona, considerata non più come un utente passivo ma come partecipante attivo. Nell’ultimo anno ha cercato di avviare un meccanismo nuovo, atto a rendere accessibili quei prodotti che ancora non lo sono. Si tratterebbe dunque di attuare un nuovo modo di progettare con le aziende attraverso una responsabilità sociale d’impresa. Tale meccanismo si pone come obiettivo quello di realizzare nuovi prototipi, prodotti modulari, scalabili e accessibili da tutti, progettati non per essere immediatamente inseriti nel mercato, bensì nati per creare dibattito e lavoro non monopolistico.

Collegandosi al contributo dei diversi attori di innovazione e ricerca nel campo del benessere e della cura si inserisce Renato Galliano, direttore del Settore Innovazione Economica, Smart city e Università del Comune di Milano. Galliano sostiene che è di fondamentale importanza gestire nel migliore dei modi la scalabilità di un fenomeno che nasce sempre più spesso dalla partecipazione di pochi individui per poi diventare delle realtà di maggiore entità. Il ruolo del Comune all’interno di queste dinamiche open è dunque quello di favorire e facilitare l’ibridazione delle diverse realtà attive all’interno di un progetto partecipato di innovazione, coinvolgendo sia i settori più tradizionali e sia gli enti produttivi emergenti.

A confermare questa ipotesi, vi è Antonino Cotroneo che contribuisce al panel condividendo la sua esperienza personale di progettazione partecipata.

Antonino è uno studente di ingegneria informatica ipovedente, membro di UICI, che nel 2015 è entrato in contatto con WeMake per poter trovare una soluzione adatta a risolvere una particolare esigenza: studiare la progettazione dei circuiti elettronici senza affaticare troppo la vista. Da questa difficoltà è nato un vero e proprio progetto: Ambra (qui è possibile accedere a tutta la gallery) uno strumento che offre alle persone con disabilità visiva la possibilità di approcciare la grafica concettuale dei circuiti elettrici ed elettronici. Il progetto è stato presentato alla Maker Faire di Roma 2015 e momentaneamente è in stato di fermo.

Come sottolinea Antonino, le persone affrontano ogni giorno problemi personali ai quali troppo spesso non si trova una soluzione immediata nei prodotti disponibili sul mercato. Per questo motivo è di fondamentale importanza supportare le opportunità di progettazione responsabile e partecipata, così come opencare che accoglie i bisogni di cura, coprogetta le possibili soluzioni con i cittadini e realizza prototipi open, condividendoli con le comunità.

“Io sono arrivato a WeMake con un problema e un’idea. Dopo un periodo di formazione riguardo l’utilizzo delle macchine e delle tecnologie a disposizione, siamo arrivati al prodotto attuale […] ed una cosa bellissima, non tanto la risoluzione del problema in sé, bensì il lavoro e la collaborazione che è nata”.

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Clicca qui per visualizzare la gallery dell’incontro e le tavole facilitatrici disegnate da Silvia D’Ambrosio.

 

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