Reflow: Biomaterials as good as gold
Biomateriali ricavati dagli scarti. Questo è il punto di partenza da cui si è sviluppata l’open talk As good as gold del 15 dicembre 2021 nell’ambito del progetto Horizon 2020 Reflow, che introduce al workshop EAT. SAVE. MAKE. Learn how food waste can become biomaterial del 16 e 17 dicembre a Base Milano.
La tre giorni è organizzata da OpenDot in collaborazione con Materiom con il supporto del Comune di Milano, di Centrinno, di NEMA – Rete Nuove Manifatture (WeMake, Cariplo Factory, a|cube, BASE Milano, OpenDot) e del Politecnico di Milano.
Un’occasione scaturita, come ha sottolineato Rossana Torri del Comune di Milano che ha introdotto la talk, “data dalla convergenza di due progetti europei, Reflow e Centrinno, che si stanno sviluppando a Milano. Reflow è un progetto di ricerca focalizzato sulla creazione condivisa di flussi di risorse circolari e rigenerative nelle città. Si vuole passare da un sistema non più lineare schematizzabile così: risorsa -> produzione -> scarto, ma circolare. Vogliamo creare una serie di strumenti che possano fungere da modello che ispiri e guidi lo sviluppo delle aree urbane, che stanno affrontando la loro transizione verso città circolari e rigenerative. Parliamo di ‘urban metabolism‘. Per quanto riguarda il pilot di Milano, la ricerca e il co-design si stanno sviluppando nell’ambito dei Food Market 4.0“.
A questo si aggancia Liat Rogel che parla di Centrinno mettendo in luce un altro aspetto della circular economy “noi abbiamo un punto di partenza diverso: consideriamo le città come hub che producono ciò che consumano. Per quanto riguarda Milano, il focus della nostra ricerca sono il design e la moda. Siamo partiti cercando le realtà che già stanno producendo in modo circolare, perché non si può essere circolari da soli, ma si deve essere inseriti in un sistema. Vogliamo dare valore a ciò che già si produce dentro a Milano, un’idea portata avanti negli ultimi anni da Manifattura Milano che ha fatto nascere anche Nema – rete nuove manifatture”.
Pilar Bolumburu, designer specializzata in digital fabrication, e Charlene Smith, chimica ed esperta di nanotecnologie, di Materiom entrano nel vivo della serata illustrando la mission dell’organizzazione, che vuole consentire a tutti, ovunque, di partecipare alla creazione della prossima generazione di “materiali circolari”.
Collaborano con aziende, città e comunità per supportare lo sviluppo di catene di approvvigionamento di materiali naturali e locali, che alimentano le ecologie e le economie locali. Pilar Bolumburu parte dall’evidenza che la modalità dell’uso delle risorse attualmente diffuso a livello globale sta facendo collassare l’ecosistema: il modo in cui usiamo ad esempio la plastica è il punto, non tanto l’esistenza della plastica in sé. Dobbiamo cambiare la mentalità che guida la produzione di materiali. Abbiamo tipi differenti di materiali (si fa riferimento al lavoro della Fondazione Ellen McArthur sulla progettazione di circuiti biologici o tecnici) e luoghi diversi dove possiamo produrli.
La ricerca di Materiom è ispirata dalla natura, alla quale guardano per creare e sviluppare il lavoro. Dire che un materiale è bio non significa necessariamente che sia biodegradabile o compostabile: una bioplastica può essere completamente o parzialmente fatta da risorse biologiche, che non sono necessariamente compostabili e biodegradabili, le quali, a loro volta, possono essere biodegradabili solo a diverse condizioni e potrebbero essere state realizzate con materiali ricavati con fonti fossili.
Si passa poi alle diverse sfide che ci troviamo davanti, prima di tutto la mancanza di una legislazione organica sui biomateriali a livello europeo. Un altro spunto lanciato dalle oratrici è che dobbiamo distinguere la bioproduzione, che possiamo fare tutti noi in casa, da quella invece a livello industriale. Fra questi due mondi si inseriscono i fablab e makerspace, luoghi che consentono di intercettare persone con competenze diverse, che possono dare linfa alla ricerca in questo ambito.
Ma quali sono gli obiettivi a cui tendere e come si inserisce la chimica verde?
1. Adattarsi all’ecologia locale.
Usare i materiali e l’energia disponibili a livello locale senza spostarsi facendo leva sui processi ciclici.
2. Efficienza energetica.
Utilizzare processi a basso consumo energetico: ridurre al minimo il consumo di energia abbassando le temperature, le pressioni e/o il tempo necessari per le reazioni chimiche. Riciclare tutti i materiali mantenendo un ciclo chiuso.
3. Chimica amica della vita.
Utilizzare una chimica in cui la decomposizione non produce sottoprodotti dannosi. La natura utilizza gli enzimi per facilitare le trasformazioni chimiche.
Dire bioeconomia significa parlare di una produzione sostenibile di risorse rinnovabili provenienti dalla terra, dalla pesca, dell’acquacoltura e la loro trasformazione in alimenti, mangimi, prodotti a base di fibre e bioenergia. Puntando la lente di ingrandimento su Milano, le oratrici donano una fotografia dello spreco alimentare annuale della città mettendo nero su bianco la quantità di scarti provenienti dal caffè (5349,46 tonnellate), pollame (4971,03 tonnellate), carne di maiale (2617,80 tonnellate), arance e mandarini (2472,34 tonnellate) e via dicendo. Rifiuti che possono essere opportunità.
Pilar Bolumburu e Charlene Smith chiudono l’open talk elencando una serie di realtà e aziende da prendere da esempio o ispirazione: Notpla, Piñatex, Orange fiber, Fruitleather, Malai, Tomtex, Biohm, Chip(s)board, Organoid, Ecovative, Mogu, Mylo Bolt Thread.
È possibile rivedere il video dell’open talk ” As good as gold” su YouTube a questo link!