#WeMakeStories: cosa sono i biomateriali

posted on gennaio 8th 2020 in Featured & News & WeMakeStories with 0 Comments

Greta Dalessandro è una Designer di prodotto, la abbiamo conosciuta perché ha frequentato la Fabricademy nel 2018-2019 che aveva come sede WeMake. Il suo interesse per i biomateriali era già evidente e il suo progetto finale, Fading Dress_clothes in constant evolution, ne è un esempio. Greta tiene nel mese di febbraio il workshop “Biomateriali DIY suddiviso in tre appuntamenti (sabato 8-15-22 febbraio dalle 14 alle 18), perché la creazione dei prodotti richiede tempo e l’approccio che privilegiamo è quello di “lavorare con le mani” e non partire già da materiali pronti all’uso. Abbiamo chiesto a Greta di farci entrare nel mondo dei materiali naturali facendole qualche domanda.

Cosa si intende per materiali naturali?
Per materiali naturali si intende composti nella loro interezza o nella maggior percentuale con fibre o ingredienti reperibili in natura, senza cioè un processo di sintetizzazione chimica da parte dell’uomo.

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Le bioplastiche fanno parte dei materiali naturali?
Assolutamente sì. A seconda della complessità chimica di un materiale è possibile replicare alcuni di loro in casa o su piccola scala rispetto a bioplastiche industriali (come ad esempio materbi). I passaggi sono più semplici e spesso analoghi alle proporzioni di una ricetta per un dolce.

Che proprietà hanno questi materiali?
Spesso si ottengono materiali analoghi alle plastiche petrolchimiche come resistenza all’usura. La principale differenza è la durata del manufatto ottenuto: utilizzando infatti materie prime vegetali o animali si va a creare un materiale vivo, soggetto quindi anche all’imprevedibilità spontanea del deperimento. D’altronde viviamo in un epoca con un velocissimo ricambio degli oggetti perché non abbracciare totalmente questa filosofia?

Quando e perché hai iniziato a interessarti a questi materiali?
Mi sono avvicinata un po’ per caso a questo mondo, ormai 4 anni fa, durante le ricerche per il tema della mia tesi magistrale al Politecnico di milano in design del prodotto per l’innovazione. Ero alla ricerca di oggetti e soprattutto materiali vivi in maniera intrinseca per creare progetti comunicatori nell’intero arco di tempo della degradazione.

Sono da sempre stata attenta al mio personale impatto ecologico compiendo scelte coerenti tra loro il più possibile verso una vita eticamente sostenibile. Ho immediatamente adottato una cultura diy intrinseca della mia famiglia che passa dalla cucina fino ad arrivare nella creazione di oggetti e abiti. Da questo approccio il concetto di economia circolare delle risorse mi è sempre sembrato una normale conseguenza, evitando sprechi anche nelle mie creazioni.

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Sono eco-sostenibili?
Assolutamente sì. Utilizzano ingredienti di scarto o con una bassissima manutenzione per la riuscita della ricetta si possono ottenere pezze di bio-pelle in kombucha per esempio, con pochi euro e bassissimo utilizzo di risorse idriche ed energetiche.

L’anno scorso ti abbiamo conosciuta perché hai frequentato la fabricademy come studentessa di WeMake, il tuo progetto finale è una ricerca nel campo dei biomateriali, ce ne parli?
Certo! Nell’esperienza Fabricademy ho avuto la possibilità di sperimentare moltissime tecniche digitali e artigianali per il settore fashion. Mi piace pensare agli oggetti che si indossano come prodotti, è certamente una mia deformazione professionale, e un abito era una sfida interessante nella quale cimentarmi. Non ho mai avuto una formazione professionale nel campo, ma ho familiarità con la sartoria tradizionale.

L’idea di utilizzare dei materiali che inevitabilmente vadano a dissolversi, a consumarsi per l’uso e non renderlo un difetto, ma anzi un punto di forza del progetto mi intrigava.
Ho creato così Fading Dress, un vestito in continuo cambiamento. Tramite l’uso di incisioni con taglio laser combinando tre materiali con differenti spessori e durate l’abito si consuma a partire dai lembi della gonna evolvendosi in un frack a coda e infine in un body in latex.

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Che futuro vedi per questi materiali?
Credo che l’argomento ultimamente sia fortemente attenzionato, ma credo che la differenza rispetto al passato sia che la necessaria transizione verso l’uso di alternative ecologiche per la maggior parte dei prodotti attualmente ottenuti in plastica sia fondamentale. La vita in esercizio dei prodotti dovrebbe essere il più vicina possibile a quella del materiale di cui è composto o perlomeno non diventare un rifiuto pericoloso dopo essere stato gettato.

Perché una persona dovrebbe iscriversi al workshop?
A partire da delle ricette iniziali è fondamentale capire i meccanismi per poter ottenere dei materiali. Io stessa sperimento in continuazione: cambiare la proporzione, il tipo di fibra o la modalità di essiccazione di una ricetta può stravolgere totalmente il risultato del progetto. Trovo che lavorare con materiali vivi sia bellissimo per la sorpresa e le possibilità anche inaspettate di poter mettere a punto un materiale personale, che viene messo a punto anche grazie alle continue modifiche per i propri progetti personali o i propri hobby.

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