#WeMake Stories: la tecnologia wearables incontra lo Yoga
Cos’è Breath! e qual è il tuo ruolo in questa avventura?
Breath è l’unione di 4 soci con background differente. Ci sono io, Clara Pozzetti, che mi occupo della direzione creativa per quanto riguarda immagine, moda e design e ho una conoscenza delle discipline Yoga e Pilates che insegno da 12 anni, Samuele Polistina UX/UI Designer, Paolo Belluco ingegnere informatico e Luca Orlandi esperto di sensoristica tessile. Breath! è un sistema indossabile e intelligente che aiuta le persone a ottenere una corretta respirazione durante la pratica dello Yoga e del Pilates. Il sistema si compone di tre elementi: uno smart garment, una App e un segnale visivo che guida l’attività respiratoria e crea una libreria di esercizi da svolgere in autonomia.
Quando è nato Breath!?
Questo progetto è stata una bella avventura: ci siamo incontrati un anno e mezzo fa. Ho conosciuto Samuele Polistina a una grigliata sul Trebbia! Non ci eravamo mai visti pur avendo studiato entrambi al Politecnico di Milano seppur con diversi indirizzi, Samuele Product Design, mentre io Visual and Exhibit Design. Una chiacchiera tira l’altra e comincio a parlargli di questa collezione che sto disegnando per la pratica di Yoga e Pilates e di cosa mi manca, la parte tecnica e ingegneristica. Lui mi dice che con il suo socio (Paolo Belluco, ingegnere informatico, ndr) hanno un progetto su cui lavorano per una linea in ambito sportivo a cui manca la parte stilistica e visuale. Organizziamo un incontro, i nostri progetti erano complementari, da lì non ci siamo più lasciati. Poco dopo si è unito a noi il quarto socio, Luca Orlandi, che fa parte dell’azienda ComfTech ora nostra partner.
Avete vinto il bando Wear Sustain, di cosa si tratta?
Abbiamo saputo del bando nel maggio 2017 a 10 giorni dalla deadline e nonostante ci fosse veramente tanto materiale da preparare, abbiamo deciso di parteciparvi. Era anche un modo per mettersi alla prova anche perché sembrava proprio “cucito” su di noi… Stavamo già portando avanti Breath!, ma Wear Sustain ci ha dato la spinta finale. Nello specifico si parlava di moda, di abbigliamento, di wearables, e noi lo stavamo facendo con attenzione alla sostenibilità.
Com’è avvenuto l’incontro con WeMake?
Wear Sustain prevede la scelta dell’hub e di un mentor, avevamo una lista di tre hub tra cui scegliere e la regola era che o l’hub o il mentor non dovessero essere nello stesso paese del team. Abbiamo scelto come hub WeMake a Milano, perché avevamo stabilito che l’hub conveniva averlo nella nostra città, mentre con il mentor ci puoi lavorare in remoto e infatti è a Londra.
Cosa fate a WeMake?
Abbiamo pianificato la stampa 3d per quanto riguarda la scocca, il case dell’elettronica che si svolge nella parte finale del progetto a febbraio 2018. Noi avremo un’elettronica con un design particolare, collegato allo yoga, una specie di fiore di loto che stiamo studiando con Francesco (Francesco Perego, designer di WeMake, ndr) e che vorremmo realizzare in stampa 3d. L’idea è quella di avere un prodotto monomateriale e possibilmente completamente eco-sostenibile. È chiaro che non può esserlo al 100% includendo una parte elettronica, ma cerchiamo di fare il massimo. Abbiamo un’elettronica quasi invisibile, batterie ricaricabili… stiamo lavorando per cercare il meglio in assoluto che la tecnologia permette oggi in quanto a sostenibilità. Detto questo una batteria è una batteria e un circuito è un circuito! La sostenibilità nell’elettronica la risolvi se riesci a riciclare: se non riesci per forza di cose a utilizzare materiali sostenibili perché non sono naturali, perlomeno devi fare in modo di riciclarne l’uso. Le batterie sono ricaricabili, il circuito può essere usato per altro, bisogna cercare di lavorare in questa direzione.
Quando sei entrata a WeMake cosa hai pensato?
In generale non sono una frequentatrice dei makerspace, non ne avevo avuto l’opportunità. Sono molto curiosa e dall’altra parte quando sono arrivata ho pensato che sarebbe diventato il mio regno, che sarei stata qui tutti i giorni. L’idea è proprio quella del laboratorio che avevo in mente: uno spazio stimolante dal punto di vista anche visivo, entri e immediatamente sei in uno spazio di lavoro manuale, una sensazione che mi piace molto. L’idea di avere a disposizione un luogo dove venire a lavorare con macchinari che non conosco e che non ho mai usato mi attrae e mi piace tantissimo. Anche dopo la scadenza di Wear Sustain penso che vi frequenterò per altri progetti!
A che punto siete con il progetto?
Siamo a mid-term: abbiamo un prototipo funzionante anche se non ancora esteticamente pronto, diciamo che per ora abbiamo lavorato sulla parte software perché è indubbio che è la parte che porta via più tempo: algoritmi, sensori collegati alla maglia e all’App. Il nostro non è un prodotto ma un sistema composto da uno smart garment, una App e un segnale visivo. Come si diceva è fondamentale perché è il concept del progetto: se l’utente finale avrà modo di vedere attraverso la App in remoto o in real time migliorerà il suo modo di respirare. In remoto ce l’hai sui dispositivi, in real time integrato all’oggetto quindi alla maglia.
Come pensi di far incontrare i due mondi della tecnologia wearables e dello Yoga?
Io lo ho detto subito: guardate che avremo uno scoglio da superare. C’è chi si rifiuta categoricamente, c’è chi invece accetta le cose. Ora ne stiamo parlando senza un prodotto fatto e finito da mostrare, da far vedere, toccare. Più andiamo avanti e più sarà facile.
La tua esperienza di insegnante di Yoga e Pilates ti aiuta immagino…
È stato determinante per individuare questo progetto, in 12 anni di insegnamento ho notato che respirare in maniera corretta risulta essere l’esercizio più complicato da eseguire per i miei allievi e anche il più difficile da trasmettere. Se vedo una postura sbagliata o un esercizio fatto male posso correggerlo, mentre con la respirazione faccio più fatica a capire se sia corretta o no, ed è inoltre molto difficile trasmettere come respirare in maniera corretta. Da designer ho pensato che bisognasse risolvere il problema, magari traducendolo in qualcosa di tecnologico. E così è nato il progetto ma se non ci fosse l’apporto di tutti gli altri soci non sarebbe possibile, ci tengo a dirlo, la nostra forza è nel team, un team multidisciplinare composto da professionisti di altissimo livello!
Come ti sei avvicinata ai wearables?
Sono una designer che però non ha mai scelto il product designing perché fare product design nella maggior parte dei casi significa disegnare arredo. Penso che una sedia comoda e bella ci sia già, un divano, un tavolo anche e poi mi interessano aspetti multidisciplinari del progetto che spaziano dalla moda all’exhibit passando attraverso il visual e la fotografia. Tutta la mia ricerca è sempre stata concentrata nel soddisfare i bisogni delle persone. Per quanto mi riguarda, questo altro mio mestiere di insegnante di Yoga e Pilates è stato determinante per individuare questo progetto: ho trovato finalmente qualcosa da realizzare per risolvere un problema di tutti, che è il mio sogno, il mio desiderio.
Cosa vuol dire fare un prodotto wearables?
Quando fai moda l’espressione artistica e la bellezza sono necessarie. Non bisogna lavorare solo su cose utili, capisco la necessità dell’estetica, ma se dovessi scegliere tra disegnare una collezione di moda “tradizionale” e una wearables, cioè che implica un’interazione con la persona, scelgo questa seconda direzione, perché mi interessano tutti i suoi aspetti: l’interazione, la tecnologia, i materiali innovativi. Breath! va a racchiudere tutto questo, lo ritengo un progetto piuttosto magico.
Una volta che avrete il prototipo?
Organizzeremo il crowdfunding e lo sbarco sul mercato anche grazie all’azienda ComfTech nostra socia e all’aiuto della nostra mentor Marija Butkovic, esperta di marketing. Infine una parte del progetto è la creazione di un portale sulla respirazione: vogliamo diventare un riferimento web della respirazione corretta, interagendo con medici, ricercatori, sportivi, performers, esperti del settore, yogi e yogini!