L’intervista | Massimo Banzi: “Con la Maker Faire 2014 torna l’Italia che sa innovare davvero”
L’intervista è un progetto a quattro mani con Sabina Barcucci, Lab Manager del MUSE FabLab.
Il tempo vola. Siamo ancora ubriachi dalla scorsa edizione di Maker Faire Rome ed è già il momento di dedicarsi a quella del 2014. Sabato 29 marzo è uscita la Call for Makers che lancia nuove sfide e soprattutto promette una kermesse più grande e più densa da qui a pochi mesi. Sarà impegnativa, ci dicono Massimo Banzi e Costantino Bongiorno – rispettivamente co-curatore e responsabile della disseminazione e della Call for Makers – perché l’aspettativa è alta e la rete europea dei maker si è infittita.
È un buon momento quindi per fare il punto sulla scorsa edizione insieme a Massimo e Costantino e per mettere sul piatto i reali risultati ottenuti dopo Maker Faire 2013: reti italiane e europee, attenzione da diverse fasce di età, esplosione della maker-mania anche a livelli istituzionali. L’Italia che tanto fatica ad (auto?) rappresentarsi come luogo di innovazione sta in realtà covando davvero tante cose e il merito è anche di chi ha lavorato per portare certi valori e organizzazioni nel mondo del mainstream.
Insomma: le dimensioni contano, dicono Banzi e Bongiorno.
In antitesi con l’atteggiamento che possiamo definire “cauto” dei mesi precedenti all’evento, l’opinione diffusa di chi ha partecipato come espositore o come visitatore alla prima edizione europea di Maker Faire lo scorso ottobre a Roma è stata di reale entusiasmo e soddisfazione. Come spieghi l’accaduto, Massimo?
Massimo Banzi: “Ci sono molti aspetti interessanti che emergono durante l’organizzazione di un grande evento come questo. In generale si sa che il pubblico – sia italiano che straniero – è spesso miope, soprattutto nel non associare l’Italia con l’innovazione. Per di più Roma è una capitale che viene naturalmente fatta coincidere con la politica e non con la tecnologia. In maniera più o meno dichiarata, anche le persone dentro a Make hanno dubitato del successo della kermesse romana e certamente riuscire a portare pubblico e partecipanti all’evento è stata una vittoria anche per la smentita proprio di questi preconcetti.
Per la Maker Faire romana abbiamo operato in modo da restituire un sapore tutto italiano all’evento e all’ambiente, reinterpretando la filosofia generale e declinandola secondo il contesto locale. Un approccio che ha richiesto un sacco di risorse e per cui il supporto della Camera di Commercio è stato fondamentale per la riuscita del progetto. I visitatori sono stati trentacinquemila quando noi realisticamente ne attendevamo ventimila. Lo spazio è risultato più stretto di quanto immaginavamo e forse, essendo alla prima edizione, siamo stati anche un po’ pessimisti. Un punto da precisare è che trovare sponsor non è stato facile e nessuna delle compagnie italiane con cui eravamo in contatto ha accettato di supportare Maker Faire. Il nostro main sponsor è stata la californiana Intel mentre molte piccole aziende dall’Europa e perfino dalla Cina connesse alla scena maker sono state interessate a investire per far parte di Maker Faire Rome. Il quadro di quanto i naturali sponsor italiani non fossero convinti della riuscita dell’evento è molto chiaro…”
Maker Faire utilizza un formato molto innovativo. A differenza della maggior parte delle fiere nel mondo, si basa su una Call for Maker, uno strumento aperto che mette a disposizione di progetti innovativi uno spazio espositivo gratuito. A prima vista, l’evento sembrava concepito per mettere in comunicazione tra loro i vari FabLab, Maker Space, maker europei in generale, autocelebrando il movimento che anima queste comunità. Nella giornata conclusiva l’impressione era molto diversa: un grande target di Maker Faire sono stati i bambini. Quanto pensi siate riusciti nell’intento di coinvolgere i più piccoli nel DIY? C’è una ragione di questo coinvolgimento?
MB: “Gli obiettivi che ci siamo posti sono stati molteplici. Abbiamo deciso di mettere a disposizione di tutti i FabLab italiani e di quello luganese dello spazio gratuito: con la scusa della partecipazione all’evento, le persone si sono incontrate e hanno stretto legami che attraversano l’Europa. Un obiettivo importante che grazie alla fiera e alle persone si è concretizzato. Il tema del coinvolgimento dell’infanzia è sempre centrale in tutte le Maker Faire: è importante mettere i più piccoli nelle condizioni di utilizzare determinati strumenti che li rendono abili e creativi sin dalla tenera età. Per comporre un programma attività per i più piccoli abbiamo coinvolto un’associazione di Roma impegnata nella divulgazione e nell’informal learning scientifico, Discienza, insieme a Maker Kids, un maker space di Toronto tutto dedicato ai bambini. Abbiamo rivolto molta attenzione all’infanzia e, ancora una volta, la risposta è stata più esuberante di quanto ci aspettassimo. La grandissima affluenza di bambini a Maker Faire ci ha permesso di realizzare quanto grande sia la domanda di “spazi intelligenti” in cui i bambini possano giocare con smart objects, robot e oggetti volanti. Per l’edizione 2014 stiamo pianificando di destinare un intero piano espositivo per nutrire la curiosità delle menti dei bambini.”
C’è qualche anticipazione che ci vuoi dare sull’edizione Maker Faire Rome 2014?
MB: “L’Arduino Day di sabato 29 marzo – una specie di meet-up globale di tutti gli Arduino User Group intorno al mondo – sarà il teatro per l’annuncio della Call for Makers 2014. Siamo ancora immersi nella pianificazione ma per certo la Maker Faire Roma 2014 offrirà molte novità. La nostra idea principale è quella di mettere in piedi un’intera settimana dedicata all’innovazione cercando il piu possibile di collegare altri eventi legati al Making e all’Open Hardware. Vogliamo coniugare le energie delle persone per creare un’offerta di eventi ampia e spalmata su tutta la settimana. Se nell’edizione 2013 un solo grande edificio non è stato abbastanza, per l’edizione 2014 stiamo cercando di distribuire la fiera su più edifici vicini tra loro, allargando l’esposizione e, come per la zona Kids, separando le aree tematiche di attività. Questo anche con l’obiettivo di permettere a più soggetti di organizzare molti eventi collaterali intorno a Maker Faire.”
Chiunque abbia visitato o partecipato lo scorso ottobre alla prima edizione ha potuto apprezzare la forza del progetto: uno showcase vastissimo di tutto ciò di cui l’Italia è affamata in termini di valori, organizzazione, innovazione e visione. L’effetto Maker Faire sembra aver ispirato molti soggetti – tra impresa, istituzioni e singoli – a darsi da fare per inventare e mettere in pratica visioni di futuro. Come si è innescato tutto questo Massimo?
MB: “Come Arduino™ abbiamo investito molto tempo nel capire come progettare una Maker Faire europea in grande stile, al livello delle sue sorelle americane. Abbiamo speso due anni e mezzo a lavorare su quest’idea e a un certo punto, grazie alla collaborazione di Riccardo Luna, abbiamo incontrato la Camera di Commercio di Roma. Da loro siamo stati indirizzati verso Asset Camera, un’azienda che si prende cura dei processi speciali della Camera di Commercio, con la quale nel marzo 2012 abbiamo organizzato la conferenza“World Wide Rome: The Makers Edition”. Insieme a molti di innovatori e maker italiani, hanno presenziato i grandi nomi dell’innovazione americana come Dale Dougherty di Make Magazine o Chris Anderson di Wired e l’evento ha avuto il merito di inserire nel vocabolario degli italiani la parola maker.
Il successo mediatico di questa giornata ci ha convinto del livello di interesse italiano rispetto alla possibilità di realizzare una Maker Faire e finalmente abbiamo cominciato a giocare seriamente e a costruire la settima nazionale sul making insieme alla Camera di Commercio romana. Una volta fissata la data definitiva per ottobre 2013, in Arduino ci siamo concentrati sulla promozione dell’evento in tutto il mondo. Non c’era pagina web di conferenza, tool o tutorial legato al making che non riportasse il banner promozionale di Maker Faire Roma. Abbiamo anche ingaggiato due video maker per il Bar Camper Tour in giro per l’Europa, a intervistare e ingaggiare maker appartenenti a moltissime diverse comunità. E’ stato un lavoro molto capillare i cui sforzi sono stati ripagati dal grande numero di domande di partecipazione che abbiamo ricevuto e da cui abbiamo selezionato 250 maker che sono poi venuti a Roma. Questa grande risposta europea è stata veramente fantastica”.
Costantino Bongiorno, Maker Faire è un evento pensato per somministrare un’overdose di stimoli ai suoi visitatori. E’ in questo aspetto che consiste il suo grande successo e sarebbe sensato che ogni cittadino prendesse parte a un evento del genere più di una volta l’anno. C’è da ammettere però che organizzare un evento di grandi dimensioni è molto impegnativo e richiede tantissime risorse. Non ti sembra che, invece di una sola molto grande, tante piccole ma frequenti Maker Faire possano essere più funzionali a una diffusione su scala sociale, richiedendo uno sforzo organizzativo minore?
Costantino Bongiorno: “Durante la fiera, uno dei nostri obiettivi è stato quello di coinvolgere un grande pubblico fatto non solo di maker o visitatori. Insieme all’evento volevamo far nascere un sistema di connessioni tra le comunità di maker europee. Come spesso accade, anche in questo ambito c’è un’economia di scala di cui tenere conto. Per inserirsi nel mainstream e raggiungere alti livelli di comunicazione c’è bisogno di spingersi oltre. Al di là del riuscire a produrre un evento di successo, abbiamo voluto anche aprire nuove narrazioni in Europa. Non ho un’idea precisa della dimensione ideale che una Maker Faire dovrebbe avere ma di sicuro per attirare il grande pubblico c’è bisogno di un grande evento.
Gli eventi locali sono importantissimi e bellissimi: li apprezzo molto perché le pratiche e le competenze della scena maker si devono radicare in primo luogo localmente e diventare pervasive nella community. Però, per fare breccia nel muro della comunicazione di massa e parlare a un pubblico veramente ampio, bisogna spingersi verso eventi di taglia molto grande. Abbiamo fatto del nostro meglio per ospitare e invitare più maker stranieri possibile perché volevamo creare un’esperienza di condivisione tra le molte comunità europee smettendo di guardare troppo al di là dell’oceano. Dei 250 progetti emersi, il 40% proveniva da fuori Italia.”
Il feedback generale dei partecipanti a è stato di grande felicità. La ragione di questa diffusa sensazione positiva si spiega bene guardando all’attitudine della quasi totalità dei prototipi esposti: solo cool & smart DIY, come del resto i loro relativi creatori. Alla domanda “perché questo oggetto”, i vari maker rispondevano: “Because I can” – perché posso farlo. La componente ludica o “desire driven” ha costituito un criterio rilevante per la selezione dei progetti? E se si, perché questo aspetto è così importante nel discorso generale?
CB: “La giocosità è un importante valore incorporato nella scena maker che si traduce nel concetto di fare-semplicemente-perché-si-può. Abbiamo provato a giocare con questi valori rappresentando una scena il più ampia possibile. Durante il lancio della Call for Maker 2013 abbiamo voluto ispirare le persone con delle piccole dichiarazioni: la prima includeva la parola “entusiasmo”, la seconda sintetizzava il claim “because I can”, ponendosi sostanzialmente in antitesi alla motivazione “perché ne ho bisogno”. L’altra ragione è connessa con la novità stessa della scena, una sostanza che può andare in parte persa in futuro, con il consolidarsi del movimento: essendo i maker partecipanti della prima edizione naturalmente molto vicini ai valori, non è stato per nulla difficile riconoscere questo tipo di entusiasmo.”
In questo quadro in cui la giocosità è il valore che guida il cambiamento delle regole della produzione materiale e immateriale, stiamo assistendo all’emergere di una sorta di “slackware economy”, un sistema di scambio e produzione diffusa in cui le pratiche Open Source in primo piano sono accompagnate da valori come la semplicità d’uso, l’affidabilità e il rifiuto di strumenti mainstream non necessari.
Schede di prototipazione come Arduino, Udoo, Galileo, Open Picus, Smart Citizen – per citarne alcuni – sono sempre più numerose sul mercato. Facilità d’uso e compatibilità sono i nuovi standard intorno ai quali cresce un’ecologia di prodotti per prototipare, personalizzare e – più in generale – rendere l’invenzione alla portata di tutti. In base a questi fenomeni, qual è secondo te il ruolo del DIY nel futuro?
CB: “Sicuramente il DIY sarà molto rilevante perché nella nostra storia tutti i nuovi “bisogni diffusi” non sono arrivati come manovre economiche. L’approccio DIY in qualche modo riempie tutte quelle nicchie non coperte da soluzioni realmente imprenditoriali oppure per cui un vero e proprio business non risulta sostenibile. Un altro interessante aspetto legato al DIY è quello dei bisogni personali. Invece di comprare semplicemente un tool o consumare un servizio, le persone possono creare i propri strumenti producendo prodotti altamente personalizzati. Il valore del DIY non risiede nel semplice risultato in sé, ma soprattutto nel processo che dà vita ai prodotti. Basti pensare alla comunità nata intorno alle Rep-Rap: la sua rilevanza sta soprattutto nel valore generato tramite i tantissimi ambiti collaterali. A cosa saranno in grado di dare vita in futuro le nuove generazioni attualmente coinvolte nelle pratiche maker?”
Quali sono le sfide che ti poni personalmente per la Maker Faire Roma 2014?
CB: “La seconda edizione sarà più impegnativa, ormai l’aspettativa è molto alta! Personalmente, cercherò di trovare il giusto bilanciamento tra le tematiche, le aree e i tipi di espositori in modo da perfezionare l’esperienza dei visitatori. Non vogliamo diventare una fiera canonica, piuttosto mostrare e esaltare l’entusiasmo e l’attitudine maker. Vogliamo mettere in luce i progetti dei maker insieme al valore delle organizzazioni attorno ad essi.”
Milano, 28 marzo 2014
Sabina Barcucci e Zoe Romano
Questo articolo è stato pubblicato su CheFuturo! il 29 marzo 2014.