Makers e copyright

posted on ottobre 12th 2013 in News with 0 Comments

Todd Blatt è un ingegnere meccanico di Baltimora appassionato di fantascienza e fantasy. Da un paio di anni passa il suo tempo a ricreare oggetti presenti nei film di genere di cui è appassionato. Todd frequenta anche la comunità online theRPF, i cui i membri condividono trucchi e istruzioni per realizzare i complementi di costumi accessoriati. Fin dagli anni ’90, gli utenti di theRPF sono una sorta di makers ante litteram che per dimostrare il proprio amore per un particolare film o serie tv si divertono a travestirsi come i personaggi, ricostruendo i materiali di scena, magari facendo crescere la propria reputazione online fino a riuscire a partecipare da protagonisti a una convention di Star Trek. È la principale “Prop community”, dall’inglese “Theatrical property”, materiali di scena.

Todd però è un prop diverso dagli altri. Perché i suoi accessori non sono realizzati con tecniche di artigianato classico, come la maggior parte degli altri; sono progettati con un programma CAD e i file sono caricati su una piattaforma online di servizio di stampa 3d. In questo modo, chi lo desidera può acquistarne una copia fisica, selezionando il materiale preferito. Sotto un certo punto di vista non si tratta di una vera e propria produzione, di quelle che vengono vendute in mercatini o nei negozi. Todd mette solo a disposizione il file in modo che copie fisiche siano prodotte e spedite on-demand a fan come lui sparsi in tutto il mondo. Dalla chiave Tardis del Dr.Who alla collana che indossa Harry Potter, sino ad arrivare ad Argus, il cubo sfaccettato che nel film di Steven Spielberg Super 8 va a comporre l’astronave aliena.

argus

Per far conoscere la sua ultima creazione di cui va molto fiero, Todd ha scritto un post sul forum di theRPF e le reazioni non sono tardate. Due giorni dopo ha ricevuto una lettera di “Cease and Desist” dagli avvocati di Paramount Pictures (casa produttrice di Super 8): la richiesta di eliminare il file del cubo Argus dalla rete per non essere coinvolto in una causa legale per violazione di copyright. Sapendo di non poter perdere tempo e soldi contro un’istituzione dalla potenza di fuoco come la major in questione, Todd ha eliminato immediatamente il file.

All’inizio di quest’anno è capitata una cosa analoga ma ancora più curiosa. Andreas Kahler (co-fondatore del FabLab di Monaco) ha caricato sulla piattaforma Thingiverse la foto di un razzo di Tintin realizzato in 3D che lui stesso aveva stampato e successivamente immortalato con uno scatto.

Thingiverse è una piattaforma che consente il caricamento di file in 3D di oggetti che altri utenti possono scaricare e prodursi in proprio. In questo caso Andreas aveva scaricato il file realizzato da un altro utente che lo aveva progettato autonomamente a partire dal fumetto. A differenza del caso precedente, il progetto digitale caricato su quel sito non permette la concretizzazione diretta dell’oggetto attraverso un servizio di stampa 3d commerciale, ma rende disponibile il file per essere scaricato, eventualmente modificato e prodotto materialmente da una qualsiasi stampante, soprattutto casalinga. Moulinsart, l’azienda che protegge e promuove la proprietà intellettuale dell’autore di Tintin, non si fa attendere e scrive a Thingiverse, che a sua volta contatta per richiedere (ed ottenere) l’eliminazione delle foto.

Le due storie potrebbero sembrare simili. In realtà contengono dei dettagli che le rendono molto diverse, mostrando come il tema della protezione della proprietà intellettuale nel contesto della stampa 3d sia un argomento complesso e, soprattutto, ancora confuso.

Facciamo due passi indietro. Come molti ormai sanno, la stampa 3d è essenzialmente un procedimento che può trasformare le informazioni digitali utili a descrivere un oggetto fisico (generalmente un file CAD) nell’oggetto vero e proprio. Invece che lavorare per sottrazione, prendendo un blocco di materia e scavandola finché non se ne ricava l’oggetto, le stampanti 3D lavorano per addizione. Depositano materiale strato per strato, seguendo un percorso guidato da un computer sino a comporre l’oggetto completo. Per questo motivo sono in grado di realizzare strutture complesse impossibili da ottenere con altre tecniche, soprattutto con quelle manuali. Ad esempio si possono stampare oggetti composti da più pezzi mobili incastrati uno dentro l’altro, o addirittura con dei meccanismi funzionanti, senza dover assemblare nulla.

In generale, per produrre il modello virtuale di un oggetto è necessario saper usare un software di modellazione 3D. Negli ultimi anni questi programmi sono diventati molto più accessibili e facili da usare ma progettare un oggetto complesso implica l’aver trascorso varie ore davanti a un pc e la conoscenza delle basi del design e della meccanica di ciò che ci circonda. Ormai da molti anni la maggior parte degli oggetti che ci circonda è progettata con un computer e realizzata con macchine controllate da computer. Ma oggi, a differenza che nel passato, un’intera classe di oggetti fisici può essere descritta con file 3D che una volta messi online divengono condivisibili, archiviabili, ricercabili, scaricabili. Questa possibilità, affiancata alla diffusione di stampanti 3D a poco prezzo e servizi di stampa 3D professionali low-cost e on-demand, inserisce in un contesto completamente nuovo l’idea di manifattura e le norme che l’hanno regolata. Per numerosi anni il sistema ha mantenuto un equilibrio in cui hanno convissuto produttori, consumatori, creativi e hobbisti permettendone la sostenibilità; recentemente, però, il sistema ha iniziato a mostrare stanchezza per numerose ragioni, alcune delle quali ho affrontato in un altro articolo.

maker_0

Non dimentichiamoci che il mercato di stampanti 3d open-source e a basso costo esiste perché sono scaduti alcuni brevetti che proteggono la tecnica di stampa chiamata FDM (a estrusione), e che nei prossimi anni ne scadranno altri forse ancora più interessanti. Per esempio nel 2014 sarà il turno del brevetto per la stampa 3d con tecnologia SLS, in grado di produrre modelli con una precisione nei dettagli molto più elevata rispetto all’FDM. Qualche tempo fa è uscito un saggio intitolato “Sarà fantastico, se non rovinano tutto” in cui l’autore esamina come la proprietà intellettuale vada ad impattare sullo sviluppo e il raggiungimento di una piena maturazione della stampa 3d, come gli operatori storici di tale tecnologia ne siano minacciati e quali mosse stanno mettendo in atto per fermarla.

Ed è proprio questo il punto interessante su cui riflettere. Da un lato, i big del settore stanno reagendo in modi che gli sono propri, ossia continuando a battere sulla creazione di protezioni sui file digitali secondo strategie che si sono già rivelate fallimentari nel mercato della musica e dei giochi. Dall’altro, altri playersi stanno attivando per trovare la gallina dalle uova d’oro e approfittare di questo terreno ancora vergine. Da tempo ormai si sta discutendo del ruolo dei patent trolls nell’ambito del software, e questioni simili si stanno scaldando nell’hardware. Per quanto concerne il copyright e i brevetti che riguardano gli oggetti stampabili e i file che li rappresentano, l’inquadramento della proprietà intellettuale si muove in un territorio del tutto nuovo proprio perché sono emerse delle opportunità e degli attori che sinora erano rimasti fuori dal quadro.

Senza addentrarsi troppo nelle specifiche tecniche della protezione di copyright e brevetti, vale la pena sollevare alcune riflessioni. Negli ultimi mesi sono nate e sono state finanziate imprese di stampa 3D che fanno della protezione della proprietà intellettuale il proprio obiettivo e il proprio business principale. In rete si trovano solo ipotesi basate su riflessioni a partire da casi simili o su elementi della proprietà intellettuale intesa in senso generale che potrebbero impattare anche sulle pratiche diffuse intorno alla stampa 3d. In un paper del 2010 intitolato The Intellectual Property Implications of Low-Cost 3D Printing gli autori tracciano una casistica traendone alcune conclusioni. Un paio di queste si ricollegano con i casi trattati all’inizio di questo articolo.

stampa

Produrre un file 3d a partire da un’illustrazione coperta da copyright, ad esempio, e stamparne una copia fisica a scopo non commerciale non costituisce illecito a meno che il detentore dei diritti non abbia commercializzato un analogo prodotto fisico. In questo caso però l’esclusività dura solo 25 anni e non quanto i diritti dell’illustrazione stessa. Nel caso dei brevetti, invece, gli autori ritengono che la maggior parte dei pezzi che potrebbero essere stampati in 3D a livello amatoriale tendono a ricadere in quelle eccezioni che caratterizzano i diritti del brevetto. In particolare, il fatto che un prodotto coperto da brevetto non protegge automaticamente tutte le singole parti da cui è composto. Quest’ultima eccezione è quella che ci permette, per esempio, di acquistare pezzi di ricambio “non originali” da altri produttori e non solo da chi, per esempio, ha prodotto quel particolare modello di automobile.

Gli specialisti e le istituzioni pubbliche hanno una grande responsabilità sociale nella diffusione di queste informazioni perché oggi riguardano tutta la cittadinanza. Da subito invece potrebbero attivarsi su due livelli: aggiornarsi sui temi della proprietà intellettuale e attualizzare le proprie competenze alla luce di queste innovazioni tecnologiche; creare documentazione accessibile e chiara sulle normative esistenti in Italia e in Europa, sia per i cittadini che per le imprese, in modo che sia più difficile per i soggetti dominanti fare la voce grossa approfittando di informazioni confuse.

Stiamo vivendo un’epoca in cui è il momento di ripensare complessivamente alcuni ambiti. Per inerzia si finisce spesso per preferire l’approccio più immediato, applicando vecchi modelli ad un mondo nuovo e ricco di potenzialità. Puntare sulla paura dell’illegalità (e degli uffici legali) per limitare le libertà degli individui più di quanto sia necessario è un danno per la società e per le economie che in essa si creano.

Questo articolo è stato pubblicato su Doppiozero il 4 ottobre 2013.

Co-fondatrice di WeMake, makerspace e fablab a Milano dal 2014 - Craftivist, digital strategist e lecturer, mi sono laureata in filosofia, formata nel mondo della comunicazione strategica digitale e nel network del mediattivismo europeo. Dagli anni '00 ho indagato in vari progetti italiani e europei i confini e le potenzialita' dell'open source nella moda e nel design intrecciandoli con la fabbricazione digitale. Dal 2013 al 2017 ho fatto parte del team di Arduino per occuparmi di digital strategy.