#WeMake Stories: Paolo Bonelli, da meteorologo a citizen scientist

posted on ottobre 6th 2017 in Featured & News & WeMakeStories with 0 Comments

Paolo Bonelli fa parte del team di WeMake, si occupa di tante cose, traffica nel laboratorio, insegna, collabora alla stesura di progetti e porta spesso cose buone da mangiare! Paolo è un pensionato che nel suo precedente lavoro si occupava di meteorologia applicata presso un centro di ricerca. Una volta libero dal lavoro ha iniziato ad interessarsi all’elettronica open source, ad Arduino e a tutto ciò che lo incuriosisce della tecnologia.

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Paolo Bonelli

Come sei arrivato a WeMake?
Ho conosciuto uno dei fondatori del makerspace, Costantino Bongiorno, ho iniziato a frequentare questo posto con la mia Membership Card e a fare qualche corso; piano piano abbiamo costruito questa collaborazione. In realtà il mio incontro con Costantino risale a prima che ci fosse WeMake, ero andato a un raduno di arduinisti dove si costruivano cose a partire da rottami elettronici, sarà stato il 2011.

Quando nasce il Paolo maker che conosciamo?
All’inizio per me costruire cose era come un gioco, un hobby come tanti, poi, venendo in contatto con il mondo dei maker, e soprattutto con i giovani, ho cominciato a capire questa filosofia dell’open source, della condivisione di conoscenze, dell’amore per la tecnologia applicato a cose utili a prescindere dal loro impiego industriale. Io venivo da un’azienda dove l’età media non era certo bassa, per me questo mondo è stata una scoperta.

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Scheda simil-Arduino per la trasmissione LoRa. Esempio di come può essere posta in esterni, all’interno di una bottiglia del latte assieme alla sua batteria

Per creare ci vogliono diverse cose fra cui uno spazio: che importanza dai al luogo “makerspace”?
Il luogo fisico serve specialmente per lo sviluppo di progetti che non richiedono solo l’elettronica, ma anche macchine a controllo numerico come quelle che ci sono a WeMake, il taglio laser, la CNC e via dicendo. Non solo c’è bisogno di spazio, ma bisogna anche condividerle perché sono macchine costose, e quindi il fablab/makerspace diventa qualcosa di più di un semplice spazio di incontro.

Cos’è un makerspace?
È un luogo di incontro, di condivisione di macchine costose e di saperi, ma è anche importante dal punto di vista psicologico: è uno spazio dove si viene incoraggiati, perché lavorare da soli non è sempre bello diciamo…

Applicazione LoRa presso un impianto di depurazione: un sensore di qualità dell’acqua trasmette i suoi dati ad un concentratore presso la sala controllo

Applicazione LoRa presso un impianto di depurazione: un sensore di qualità dell’acqua trasmette i suoi dati ad un concentratore presso la sala controllo

Qual è stato il primo progetto che hai fatto a WeMake?
Finché lavoravo in solitaria avevo coltivato l’idea di costruire strumenti per il monitoraggio ambientale: volevo prelevare dati di qualità dell’acqua, dell’aria, con strumenti autocostruibili, poco costosi e così via, ma non ero riuscito a realizzare bene i miei progetti. Entrando a WeMake ho sfruttato le macchine presenti e ho costruito uno strumento complesso che si chiama Acid Carousel, che serve a fare delle analisi dell’acqua in modo automatico usando delle cartine test. Un altro lavoro per me importante è il progetto Makers4Dev – Strategie di co-design e making per l’agricoltura – al fablab OuagaLab in Burkina Faso, in sostanza un’assistenza elettronica nella costruzione di un essiccatore per il riso. Infine non posso non citare il mio attuale progetto, un pluviometro per l’allerta di eventi meteo intensi.

Acid Carousel, un misuratore automatico della qualità dell'acqua

Interno dell’Acid Carousel. È visibile la ruota contenente le cartine test

Essicatore per il riso del progetto Maker4Dev

Prototipo in scala dell’essiccatore per il riso, costruito in Burkina Faso dal FabLab di Ouagandogou

Che cos’è il pluviometro?
È uno strumento meteorologico, ricordo delle mie esperienze lavorative passate, che ho costruito grazie alle macchine laser-cut disponibili a WeMake e con una struttura un po’ innovativa, diversa dai pluviometri in commercio, sempre nell’ottica di fare una cosa poco costosa, open source e utile soprattutto per l’impiego nella Protezione Civile. Un pluviometro serve a monitorare le precipitazioni, specie quelle intense, e quindi a dare un allarme nel caso in cui una pioggia intensa cada su un territorio a rischio.

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Pluviometro autocostruito, di basso costo e senza parti meccaniche in movimento

Presenterai il pluviometro durante l’open meeting Outdoor Sensing in programma il 14 ottobre 2017?
Quello di cui parlerò, insieme ad altri, è il tema più generale dell’Outdoor Sensing, ovvero costruire sensori che possano essere messi all’aperto in luoghi pubblici, fuori dalle grandi città e dai luoghi ad alta densità di popolazione, luoghi che non beneficiano di reti di trasmissione dati. Pensiamo per un momento al fatto che la rete dei cellulari funziona benissimo in città, ma appena si va in campagna, in montagna o in generale in luoghi isolati non funziona più bene o addirittura per niente. Questo ci dice quindi che le reti per i cellulari non sono la miglior cosa per trasmettere dati, oltre ad avere altri svantaggi, come: necessitare di apparati costosi, consumare troppa energia, richiedere un abbonamento. Oggi la tecnologia ci dà maggiori possibilità per costruire sensori che possono essere letteralmente abbandonati in un posto per mesi, dove misurano qualcosa che ci interessa e trasmettere dati a chilometri di distanza. Questa tecnologia è fondamentale per questo campo di applicazione che abbiamo chiamato Outdoor Sensing.

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Acid Carousel posizionato sulla riva di un laghetto per l’analisi dell’acqua.

A chi può servire l’Outdoor Sensing?
A tutti coloro che operano nei campi del monitoraggio ambientale (le portate di un fiume, la precipitazione intensa, la qualità dell’acqua per scoprire se c’è qualcuno che sta inquinando) e della Protezione Civile (dissesto idrogeologico, frane, crepe di una abitazione). Pensiamo poi all’agricoltura: oggi si va verso una agricoltura di precisione, cioè quella che coltiva cibo di valore – uva, ortaggi, frutta – che richiede il monitoraggio di molti parametri meteorologici oltre alle malattie delle piante; ma anche il vasto settore delle energie rinnovabili può essere incluso in questi monitoraggi. Infatti i pannelli solari e gli impianti eolici piccoli, richiedono di essere monitorati, perché la loro efficienza può cambiare nel tempo. Dobbiamo perciò misurare non solo l’energia prodotta ma anche, come nel caso dei pannelli fotovoltaici, la radiazione solare e la temperatura. In tutti questi casi in cui possiamo fare delle misurazioni che ci consentono di monitorare una situazione, possiamo far ricorso all’Outdoor Sensing. Perché si diffonda c’è bisogno che si sviluppi una coscienza collettiva tra specialisti, makers e cittadini. La tecnologia LoRa (Long Range) risponde bene alla necessità di trasmettere i dati a distanza con basso costo.

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Ricevitore LoRa con funzionalità di datalogger e display

Cos’è la tecnologia LoRa?
È una modalità di trasmissione di dati via radio. Le onde elettromagnetiche sono da tempo usate per trasmettere dati, però la potenza, l’energia necessaria aumenta molto con la distanza tra trasmettitore e ricevitore. La tecnologia LoRa minimizza questa richiesta di energia attraverso una modalità che da pochi anni è stata resa disponibile con componenti elettronici a basso costo. Con questi componenti è possibile realizzare dispositivi da mettere in campo aperto per mesi o anni a chilometri di distanza dal ricevitore.

La tecnologia LoRa è la risposta a tutti i mali?
Questa tecnologia, insieme agli sviluppi che ci sono stati nel campo dei microcontrollori come Arduino, rende possibile a maker o a persone con limitata preparazione elettronica di costruire sensori che trasmettono dati a distanza. Sono tecnologie flessibili che possono essere applicate in tanti campi anche laddove non esiste un prodotto industriale ad hoc. Il maker non cerca di costruire un prodotto già disponibile in commercio, come ad esempio uno smartphone, ma qualcosa di nuovo, che risolve un problema a qualcuno; lo fa mettendo insieme “mattoncini” hardware e software che l’industria già produce o che qualcun altro ha reso pubblici. LoRa è uno di questi mattoncini.

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Scheda simil-Arduino per la Trasmissione LoRa con gli altri elementi essenziali: antenna e batteria

Sei uno degli animatori delle Community Night dell’Arduino User Group & Wearables, cosa succede in queste serate?
Facciamo spesso discussioni tecniche tra persone che operano non solo con la scheda Arduino, ma con componenti che seguono lo spirito di Arduino: il mondo dell’open source. Ci scambiamo esperienze e saperi, anche molto diversi, c’è chi è specializzato sul software, chi sull’hardware, chi porta progetti complessi e molto ambiziosi, chi porta progetti semplici, tutto contribuisce ad allargare la propria cultura e ci fa conoscere.

All’Arduino Day invece vengono persone con poca o nessuna competenza tecnica, come mai?
L’Arduino Day è una sorta di piccola Maker Faire dove si presentano tanti progetti anche belli da vedersi senza il bisogno che il pubblico li capisca in dettaglio. È in generale una buona attività, un buon mezzo per diffondere un certo uso della tecnologia. È una manifestazione a livello locale che serve anche a creare una comunità che possa poi diventare frequentatrice del makerspace.

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Antenna per le trasmissioni LoRa

Andrai alla Maker Faire di Roma a dicembre?
Gli altri anni ho portato dei progetti, ma per questa edizione non ho niente che credo possa andare bene in quel contesto. Sarà che le cose che faccio sono un po’ troppo specialistiche, mentre la Maker Faire è una kermesse dove il pubblico cerca progetti ad effetto! Credo che comunque andrò nelle vesti di visitatore e darò una mano a quelli che presentano.

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