Cronache dall’etextile summer camp 2017 – parte prima

posted on luglio 26th 2017 in Featured & News with 0 Comments

L’eTextile Summer Camp è arrivato alla sua sesta edizione e come ogni anno rappresenta un momento importante di formazione, scambio e ricerca attraverso cui maker, professionisti, ricercatori e artisti negli ambiti dell’eTextile e dei wearable condividono per una settimana pratica e teoria sulle tematiche che li hanno impegnati nei mesi precedenti.

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Il camp si è svolto dal 14 al 21 luglio a un’ora da Parigi a Poncé sur le Loir, un paese di circa 400 abitanti nella regione dei Paesi della Loira. In questo luogo dove internet arriva debole e di notte alzando gli occhi al cielo si riesce a vedere la via lattea, nel 2009 è nato Les Moulins de Paillard, uno spazio di produzione artistica alternativa fondato da Shelly De Vito e James Porter, artisti e promotori instancabili di progetti di arte contemporanea e performativa. La loro associazione ha preso in mano l’edificio che un tempo ospitava una fabbrica di carta, alimentata appunto da mulini ad acqua, per trasformarla in un centro di produzione artistica, espositiva, di residenza e soprattutto mantenere vive culturalmente le comunità francesi rurali della zona.

Dal 2013 Mika Satomi e Hannah Perner-Wilson – il duo che da vari anni cura il prezioso blog di eTextile How To Get What you Want – organizzano il camp proprio a Paillard, dopo una prima edizione che si è svolta in Svezia. I 6 giorni di camp si strutturano intorno a due attività principali, le sessioni di workshop iniziali e i percorsi di gruppo su un tema specifico in cui si sperimentano e intersecano le conoscenze appena imparate con il portato di ciascun partecipante. Il limite di 30 partecipanti al camp, provenienti da ogni parte del mondo da Taiwan al Messico, passando per l’Estonia e l’Ungheria,  è per facilitare lo scambio e la conoscenza tra persone che condividono già un percorso simile: la sperimentazione e  la ricerca nel terreno di confine tra la tradizione dell’artigianato tessile e l’elettronica, potenziata da materiali innovativi e l’impiego della fabbricazione digitale. Nella sala principale di Paillard accanto a tomboli, telai e macchine da cucire si trovano microcontrollori, colori fotosensibili, saldatori e stampanti 3d.

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Se da un lato l’approccio è interamente dedicato al fare per scoprire l’inaspettato e condividere lo stupore delle reazioni e risultati ottenuti, dall’altro non passa momento che non ci si fermi a riflettere sulle potenzialità che queste pratiche dischiudono, a partire da noi stessi e nella società che abitiamo.

Il tema dell’eTextile Summer camp di quest’anno era Wicked Fabrics, in cui il termine “wicked” ha un doppio contraddittorio significato. Può voler dire sia “malvagio” e, allo stesso tempo in linguaggio gergale, anche “eccezionale”. Molto probabilmente tali sfumature dipendono  dall’etimologia della parola che discende dalla vecchia parola inglese “wicca”, ossia “strega”. Abbiamo dedicato un pomeriggio a ragionare su questo tema, e in particolare su cosa significhi per noi Wicked Fabrics, restringendo però il campo all’ambito della sostenibilità nel senso più ampio del termine (un report del dibattito è in arrivo!)

Dei 6 workshop a disposizione ho partecipato a tre perché le sessioni si tengono in parallelo e quindi si è obbligati (purtroppo) a fare una scelta:

– Strumenti DIY per l’eTextile (workshop 1)

Quando si lavora a metà tra l’elettronica e i tessuti, non sempre si hanno a disposizione gli strumenti che tengono conto delle particolarità dei materiali fatti di fibre per indagarne le loro proprietà elettriche. Durante il workshop Irene Posch e Hannah Perner-Wilson hanno condiviso alcuni strumenti progettati e assemblati direttamente da loro per colmare questo vuoto e ci hanno accompagnato nella loro costruzione.

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Uno dei principali strumenti usati nell’elettronica è il multitester, strumento che serve per misurare la resistenza e la conduttività dei materiali. Quando lo si usa con i tessuti o fili conduttivi non è molto pratico. Per questo Irene ha creato un tutorial ed esempi per realizzarne alcuni e soprattutto l’ispirazione a dedicare del tempo per inventarsi i propri strumenti da sè.

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Uno di questi strumenti, e il primo che abbiamo creato, è il Pin Probe che sostituisce un’estremità del tester con un ago per permettere una connessione stabile con il tessuto senza rovinarlo e tenersi una mano libera per compiere altre azioni. La costruzione prevede la stampa in 3d di alcuni alloggiamenti, l’uso del saldatore e l’acquisto di connettori standard. Per approfondire, qui si trova una descrizione e qui un tutorial passo-passo. Il principio è che possiamo connettere qualsiasi strumento metallico standard al tester (uncinetto, pinzette, scucini…) creando delle protesi adeguate anche alla nostra impugnatura e ai nosti modi non standard di lavorare.

Hanna ha invece introdotto il suo progetto OHMHook, una versione di tester semplificato collegato direttamente ad un uncinetto per misurare la resistenza di un sensore in real-time mentre lo si crea.

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Altre foto dal workshop >>

– Tutto quello che avresti voluto sapere sui sensori capacitivi ma non hai mai osato chiedere (workshop 2)

Il mondo dei sensori tessili è pressoché infinito e variegato e un numero molto consistente di questi è composto dai sensori capacitivi che percepiscono la prossimità di un corpo, il tocco e la pressione. Costruirne uno non è complesso, bastano due fogli di tessuto conduttivo e un materiale resistivo a fare da barriera; riuscire a farlo funzionare in modo controllato e preciso lo è meno. I due docenti del workshop, Adrian Freed (sì, quel Freed, sviluppatore di Open Sound Control) e Admar Schoonen (ingegnere elettronico con un interesse spiccato per le derive tessili) dopo un’introduzione sulla storia e teoria del sensori resistivi e capacitivi a partire dall’affascinante esperimento del Flying Boy di Stephen Gray nel 18° secolo, ci hanno messo al lavoro sulla parte pratica.

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Dopo aver assemblato un sensore con due strati di tessuto conduttivo e uno spessore spugnoso a bassa densità e averlo collegato con un Arduino,  Admar ci ha introdotto alla sua nuova libreria per il microcontrollore, Touch Library tuning program, rilasciata da pochi giorni e ancora in fase di debugging.

L’aspetto interessante è che si tratta di una meta-libreria, ossia che permette di generare il codice da utilizzare successivamente a seconda delle caratteristiche del nostro circuito.

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– UV/AV laser on textile exploration (workshop 3)

Il workshop, suddiviso in due parti è stato tenuto da Shi Wei, artista taiwanese e dal duo EJtech (in residenza a WeMake nel 2016). Si è parlato di laser, ma questa volta non di taglio laser. Wei ha introdotto i partecipanti a come si ottiene una stampa permanente impressionando il tessuto con il marrone di VanDyke con puntatore laser UV. Come molti dei primi processi di sviluppo fotografico, il marrone di VanDyke è un processo di stampa a contatto che necessita di luce ultravioletta (UV) per renderne visibile l’esposizione. È un processo facile, conveniente e può essere fatto senza l’utilizzo di una camera oscura. Dopo aver creato la soluzione (vedi ricetta), ne abbiamo immerso il tessuto bianco che volevamo impressionare. Dopo averlo fissato e asciugato, siamo passati ad “inciderlo” andando a controllare una luce laser UV direzionata da  specchi controllati da motorini e costruita appositamente da Wei per realizzare le sue opere.

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Con EJtech abbiamo invece sperimentato con alcuni  colori fotosensibili che applicati ai tessuti li rendono reattivi alla luce solare e UV e con cui è possibile realizzare interessanti effetti ottici e interattivi.

Altre foto dal workshop >>

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In ogni momento dei workshop, la modalità è sempre di peer education  nel senso che gli stessi docenti sono molto attenti ai feedback dei partecipanti e sono presenti non solo per trasferire della conoscenza ma per accrescersi nello scambio. E proprio questa attitudine caratterizza  altri tre momenti del Camp propedeutici al lavoro di gruppo.

  • Il set-up della mostra Etextile Cuvee – il giorno dell’arrivo  vede molti di noi impegnati ad allestire una parte della fabbrica con un’esposizione che racconta con prototipi, prodotti, ricerche o progetti il nostro lavoro al pubblico esterno al camp. Si tratta soprattutto di abitanti del posto e dei paesi vicini, che oramai vedono l’inaugurazione del camp e la visita della mostra come una tradizione da rispettare. Dopo l’inagurazione iniziale dove ognuno dei partecipanti presenta il proprio pezzo direttamente ai presenti, Shelly organizza delle visite guidate di gruppo quasi quotidiane.
    Nel 2015 portai il risultato della residenza di Afroditi Psarra e Dafni Papadopulou a WeMake. Quest’anno ho portato l’installazione Fiat Voluptas Tua (a breve un link con i dettagli), il lavoro ancora inedito che ho realizzato insieme a Laura Migliano e Giorgia Petri e che sarà messo in mostra anche a Santiago del Cile in occasione di FAB13.

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  • Il libro dei campioni, o SwatchBook – è una raccolta di schede realizzate da ciascun partecipante in un numero di copie tanti quanti sono le persone che partecipano alla sua creazione. L’idea è nello stesso tempo semplice e geniale. Non ci sono linee guida che definiscano ciò che questi campioni debbano mostrare, l’importante è che riguardino la sperimentazione con Etextile. Preferibilmente, ogni campione deve essere contenuto in un’area di 13x16cm e anche se i campioni piatti sono quelli che si prestano meglio al formato del libro, i campioni che si sviluppano nelle 3 dimensioni sono ben accetti. Qui sotto il video dello Swatchbook del 2013 e a questo link, la versione digitale di quello di quest’anno. Chi decide di partecipare giunge al camp con il numero di campioni corretti e li monta sulle pagine che sono già state stampate per accoglierli e avvolgerli da una copertina di feltro.
    Lo Swatchbook è utile sia perchè richiede uno sforzo di semplificazione e documentazione, sia perchè diventa uno strumento di condivisione soprattutto per chi insegna e vuole trasferire questa conoscenza ai principianti, che al primo contatto tendono a percepire queste pratiche come esoteriche.

  • Ultime ma non meno importanti i pranzi e soprattutto le cene che a turno prepariamo ciascuno proponendo delle ricette con profumi e sapori dal mondo e  che nel 2015 sono finite in un Cookbook ordinabile online.

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Stay tuned! Il prossimo post tratterò di Soft Resistance, il tema che ha caratterizzato il lavoro di gruppo a cui ho partecipato.


 

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Co-fondatrice di WeMake, makerspace e fablab a Milano dal 2014 - Craftivist, digital strategist e lecturer, mi sono laureata in filosofia, formata nel mondo della comunicazione strategica digitale e nel network del mediattivismo europeo. Dagli anni '00 ho indagato in vari progetti italiani e europei i confini e le potenzialita' dell'open source nella moda e nel design intrecciandoli con la fabbricazione digitale. Dal 2013 al 2017 ho fatto parte del team di Arduino per occuparmi di digital strategy.